Il 12 marzo del 1909, al capolinea del tram di piazza Marina, a Palermo, quattro colpi di pistola uccidono Joe Petrosino, lo Sherlock Holmes italiano, come lo chiamavano i giornali dell’epoca. Tra i sospettati, di un omicidio che rimarrà avvolto nel mistero per oltre un secolo, alcuni membri della Mano Nera. Estorsori che si muovevano in molte città statunitensi all’inizio del secolo. Una specie di spin off della mafia italo americana, che terrorizzava non solo gli States, ma anche il sud del nostro Paese, forse più della stessa mafia.
Ma cos’era realmente la Mano Nera e cosa rappresentò nei primi anni del Novecento?
A voler cercare una definizione immediata e ‘moderna’ si potrebbe dire che la Black Hand fu il primo pseudonimo collettivo utilizzato dalla criminalità. Non esisteva, infatti, una sola banda che si nascondeva dietro quel nomignolo, ma diverse famiglie malavitose, che operavano in diverse città. Le accomunava, appunto, il nome spauracchio, e il ‘logo’ criminale. Una mano nera in calce a lettere estorsive tipo “Se domani non vieni all’appuntamento tra la Settantaduesima strada e la Tredicesima Avenue, la tua casa sarà fatta saltare in aria e tu e la tua famiglia sarete uccisi”. E di lettere così, per quasi un decennio, ne circolarono tante. Tra New York, Chicago, San Francisco e New Orleans. Le chiamavano “lettere di scrocco”, e la gente ne aveva paura. Tanta paura.
In quegli anni, con questi sistemi, la Mano Nera divenne quasi più famosa della mafia. E il primo a capirlo fu proprio Joe Petrosino, che fece di tutto per ridimensionare il fenomeno, nell’immaginario popolare. E pagò con la vita la sua battaglia personale contro quella piaga. Tra le vittime della Black Hand anche Enrico Caruso e il famoso trasformista Leopoldo Fregoli.
Sarà la crescita esponenziale dei clan mafiosi a cancellare per sempre l’iniziativa estemporanea e l’ascesa criminale della Black Hand. Ma la leggenda nera di queste bande di estorsori non ha mai smesso di alimentare romanzi, film e fumetti.