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Notre-Dame, la profezia fake

Victor Hugo non aveva descritto nessun incendio

di Gialli.it 16 Aprile 2019

Nel dramma che Parigi vive in queste ora spunta una nota tragicomica: la presunta profezia di Victor Hugo è una della più imbarazzanti gaffe di alcuni giornalisti frettolosi, e a caccia di ‘curiosità’ da dare in pasto ai lettori.

In Notre-Dame de Paris non si racconta di nessun incendio. Il fuoco che viene descritto sulla sommità della Cattedrale serve ad alimentare due ‘doccioni’ nei quali Quasimodo, per prendere tempo in attesa dell’arrivo dei soldati di Luigi XI, fonde piombo che viene poi riversato sugli accattoni che che di notte sono penetrati nella chiesa.
La scena è caotica, dal basso si vedono fiamme e fumo, ma nessuno capisce bene l’origine di quelle lingue di fuoco.
Victor Hugo racconta questa scena epocale nel 1831. Quasi due secoli dopo Notre-Dame brucerà sul serio, e nell’epoca delle letture veloci e dei riassuntini da web, quel capitolo del X Libro (intitolato ‘Un amico maldestro’) viene scambiato per una ‘inquietante profezia’.
Riportiamo di seguito i brani salienti che spiegano, meglio di ogni altro commento, la Fake News di queste ore.

In quel momento di angoscia notò, un po’ più basso della balaustra da cui schiacciava gli argotiers, due lunghi doccioni di pietra che sboccavano esattamente sopra il portale maggiore. L’orifizio interno di quei doccioni si apriva sul pavimento della piattaforma. Gli venne un’idea. Corse a cercare una fascina nel suo tugurio di campanaro, pose su questa fascina un gran numero di mazzi di listelli e numerosi rotoli di piombo, munizioni che non aveva ancora usato, e dopo aver ben disposto quel rogo davanti al buco dei due doccioni, vi dette fuoco con la sua lanterna.

(…) Ad un tratto, nel momento in cui si raggruppavano per un ultimo sforzo intorno all’ariete, ciascuno trattenendo il fiato e irrigidendo i muscoli al fine di dare tutta la sua forza al colpo decisivo, un urlo, ancora più terrificante di quello che era scoppiato e spento sotto la trave, si levò in mezzo a loro. Chi non gridava, chi era ancora in vita, guardò. Due getti di piombo fuso cadevano dall’alto dell’edificio sul più fitto della ressa. Quella marea di uomini si era accasciata sotto il metallo bollente che aveva fatto, nei due punti in cui cadeva, due buchi neri e fumanti nella folla, come farebbe l’acqua calda nella neve. Vi si vedevano agitare moribondi semicarbonizzati che mandavano muggiti di dolore. Attorno a quei due getti principali, c’erano gocce di quell’orribile pioggia che si sparpagliavano sugli assalitori ed affondavano nei loro crani come spirali di fiamma. Era un fuoco pesante che crivellava quei miserabili con una fitta grandinata.
Il clamore fu straziante. Fuggirono disordinatamente, gettando la trave sui cadaveri, i più coraggiosi come i più timidi, e il sagrato fu vuoto una seconda volta.

 Tutti gli occhi si erano alzati verso la cima della chiesa. Ciò che vedevano era straordinario. Sulla sommità della galleria più alta, ancora più su del rosone centrale, c’era una grande fiamma che saliva fra i due campanili con turbini di scintille, una grande fiamma disordinata e furiosa, di cui il vento ogni tanto si portava via un lembo nel fumo.
Al di sotto di questa fiamma, al di sotto della cupa balaustra a trifogli di brace, due doccioni come fauci di mostri vomitavano senza posa quella pioggia ardente che si stagliava con la sua colata argentea sulle tenebre della facciata inferiore.

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