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Paul è morto, Jimi è stato ucciso! E' giallo sui big del rock

di Gialli.it 21 Luglio 2009

Ci sono estati che ti ricordi per una canzone. Che ti rimangono appiccicate addosso per un pezzo che taglia la notte e diventa la colonna sonora di un emozione. Quella di un luglio o di un agosto qualsiasi, vicino al mare, ad accorgerti che esiste la vita. Una vita intera che puoi infilare in un pugno di note.
Sarà per questo che d’estate la musica ha un valore diverso. Un senso diverso. Un colore diverso. C’è il nero di Almost blue, l’arancio di If, il blu profondo di Notte che se ne va.  E il giallo. Che non è esattamente una canzone. Ma un gioco. Che si può fare premendo due volte play su un ipod nero. Nella playlist dei ricordi. Due clic, due pezzi, due gialli. Di notte. A luglio. A sentire musica. A rincorrere misteri.
di SONIA T. CAROBI
The Fool on the Hill. The Beatles. 1967
Lui non ama svegliarsi all’alba. Ma quel mercoledi, alle 5 del mattino, sta tornando a casa dopo aver litigato con i suoi migliori amici. Gente che suona con lui in un gruppo pop.
Guida lento.Su una strada della periferia di Londra.La nebbia è fitta.Non si vede un tubo…
Accende i fari, e si trova, come per incanto, di fronte… una ragazza. Capelli neri, lunghi, laccetto di cuoio. Un tipo che fa fermare le macchine. E la sua, una Aston Martin modello James Bond, si ferma.
La ragazza sale in macchina, Lui sorride e preme il piede sull’acceleratore.
Qualche secondo, solo qualche secondo e l’Austin Martin si schianta contro un camion che arriva ad altissima velocità, contromano. Leiviene sbalzata dall’abitacolo, e scompare misteriosamente. Il parafango del mostro a quattro ruote trancia di netto la testa di Lui.
Il camionista scende dal camion, apre la macchina e si ritrova tra le mani la testa di uno dei quattro ragazzi più famosi del mondo. Deve essere stato un momentaccio.
Comincia più o meno così la più grande leggenda del pop. “Paul is Dead”. La presunta morte di Paul McCartney. Il bassista dei Beatles scomparso in un incidente stradale e sostituito in gran fretta da un sosia. Il 9 novembre del 1966. A poco più di due mesi dall’ultimo concerto pubblico al Candlestick Park di San Francisco.
Il sosia si chiamerebbe William Campbell, uno scozzese che qualche anno prima aveva partecipato e vinto ad un concorso per sosia organizzato dalla EMI. Lui ovviamente era uguale sputato al nostro Paul. E dopo la sostituzione avrebbe scritto pezzi tipo Something o Let it Be!
Diciamo che uno può pure avere un dubbio. Ma la leggenda di Paul morto e sostituito da uno scozzese sfigato è stata alimentata per anni dagli stessi Beatles che hanno disseminato le loro canzoni e le copertine degli album di strani indizi che hanno fatto letteralmente impazzire i fan.
Da qualche anno di questa storiellina non si parlava più, poi proprio ieri è arrivata l’ennesima notizia bomba e la leggenda di Paul è ritornata a brillare di luce propria.
Nel nuovo numero della rivista Wired, sono stati pubblicati gli esiti delle indagini svolte da due detective di razza, Gabriella Carlesi e Francesco Gavazzeni. Lei è un’anatomopatologa, lui un informatico. Sono i superperiti dei casi di Ilaria Alpi, del mostro di Firenze e dell’attentato al Papa nel 1981. E da tre anni stanno lavorando ad un curioso progetto: applicare le tecniche medico-forensi di comparazione biometrica a gruppi di fotografie che ritraggono il bassista dei Beatles dalla prima metà degli anni ‘60 ai giorni nostri.
Un gioco. Il passatempo di due professionisti. Ma alla fine, come in ogni giallo che si rispetti, i confronti biometrici su conformazione del cranio, curva mandibolare, padiglioni auricolari, dettagli di dentatura e palato hanno mostrato discrepanze sempre più significative e sconcertanti tra le immagini scattate prima e dopo il 1966. E la coppia di detective ha dovuto chiudere l’indagine senza un verdetto. Nessuna risposta, ma tanti e imbarazzanti dubbi. Le leggenda di “Paul is Dead” rischia di virare verso acque molto pericolose. Conviene stare a vedere cosa accade nei prossimi mesi.
Hey Joe. Woodstock. 1969
Hey Joe, where you goin’ with that gun in your hand
Hey Joe, I said where you goin’ with that gun in your hand
Che cavolo di canzone scegliesti Jimi. “Hey Joe, dove stai andando con quella pistola in mano …”. L’ho sentita e risentita. Mille volte. L’ultimo pezzo di Woodstock. L’ultima canzone di quell’estate di fuoco. L’ultimo pezzo che cantasti mentre qualcuno credeva ancora a roba tipo pace, amore, libertà. Echecazzo Jimi. Tu cantavi Hey Joe! E loro si stringevano forte. Perché stava per finire tutto. E quell’estate non sarebbe ritornata mai più.
Il resto è stato inutile.  E’ difficile essere immortali. E non basta un’isola di Wight per cancellare una fine che ormai era dietro l’angolo. Per cancellare i fischi e la follia dei tuoi ultimi giorni. Per cancellare quella notte al Samarkand Hotel. 22 di Lansdowne Crescent. Londra.
18 settembre 1970. Quella fu la notte in cui mori uno dei più grandi chitarristi della storia del rock. E fu anche la notte in cui sul fantasma di Jimi cominciarono a circolare strane storie.
“E’ morto affogato nel suo vomito”. Disse Monika Dannemann. La sua ragazza tedesca. “Lo hanno ucciso!”, dicono, da quasi quarant’anni, quelli che gli hanno voluto bene. Ma sono storie. Leggende. Si sa. Sta accadendo in questi giorni con Michael Jackson. E’ come se uno non ci volesse credere. E’ un modo per esorcizzare. Per tenere in vita un mito.
Questo è quello che abbiamo sempre pensato quando partiva l’ennesima “verità” sulla curiosa morte di Hendrix. Ma quello che è apparso in queste ore su tutti i giornali del mondo sembra essere qualcosa in più della solita speculazione. E noi la riportiamo esattamente come l’hanno battuta le agenzie di stampa. Poi si vedrà.
L’ipotesi che Jimi Hendrix sia stato ucciso è “plausibile”. Arriva una conferma alla teoria di James Wright, tecnico del suono del re del rock, che nel suo libro Rock Roadie, afferma che il chitarrista è stato ucciso dal suo agente, Mike Jeffrey. L’inattesa conferma arriva dal medico di turno dell’Abbots Hospital di Londra che il 18 settembre del 1970 cercò di salvare la rock star in fin di vita. Bannister, 67 anni, è stato raggiunto dal Times nella sua casa Sydney, Australia, dove si è trasferito nel 1972.
La prima cosa che affiora nei suoi ricordi è il fatto che Hendrix fosse “davvero molto alto”. “Stava sul lettino dell’ospedale – racconta Bannister al quotidiano britannico – e i suoi piedi sporgevano di 25 centimetri”. Jeffery, secondo Wright, avrebbe assoldato una gang che avrebbe forzato Hendrix a trangugiare del vino e delle pillole soporifere. “È possibile”, ha confermato Bannister. “In tutta la mia vita non ho mai visto tanto vino rosso. Non solo i suoi capelli e la maglietta ne erano zuppi, ma anche lo stomaco e i polmoni ne erano saturi. È davvero affogato in una larga quantità di vino”.
 Secondo Wright il manager di Hendrix aveva stipulato un’assicurazione da 2milioni di dollari sulla vita di Jimi. Jeffrey avrebbe deciso di ucciderlo perché Hendrix, allora 27enne, aveva in mente di cambiare manager. Wright, che per un certo periodo di tempo ha lavorato con Jeffery, dice che Hendrix valeva per lui di “più da morto che da vivo”.
Due clic, due pezzi, due gialli. Di notte. A luglio. A sentire musica. A rincorrere misteri.

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