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Il Sigillo del Cristo Velato

la Napoli Nera di Alfredo De Giovanni

di Ciro Sabatino 29 Aprile 2021

Bisognerebbe mettersi con le mappe e la matita.
Tracciare linee, insomma.

Piazza Dante. Il primo pallino rosso. Poi un graffio, lungo, sottile. Fino a San Lorenzo Maggiore. Secondo pallino. Rosso. Quindi, linea giù. A ritroso. Verso il complesso di Santa Chiara. Nel cuore del chiostro maiolicato. Pallino rosso. Il terzo. Così uno capisce che resta solo da chiuderlo, il triangolo. Pallino rosso di Santa Chiara. Pallino rosso di piazza Dante. Fine. Due lati uguali. Una base. Più piccola. Santa Chiara, piazza Dante. E’ isoscele, il Triangolo Nero di Napoli Nera. Quella del Rinascimento. Quella del Principe e di donna Maria. Quella di Carafa. Fabrizio. L’arcangelo. E anche quella di Sammartino e del suo Cristo Velato. Entri, e non esci più. Per secoli. A caccia di risposte impossibili. Di misteri impenetrabili. Il tempo è un sudario di marmo. Impossibile, anch’esso. Anch’esso, impenetrabile.

Deve essere andata così. Per Alfredo De Giovanni, intendo. Lui è entrato nel triangolo, e non ne è uscito più. Affascinato, ammaliato, irretito, dalla bellezza eterna di questa stramaledetta città. Perso nei suoi segreti, nelle storie appiccicate alle pareti dei muri, delle strade, dei vichi… Napoli nera, il centro storico, la Cappella di Sansevero, il fantasma di Maria d’Avalos che si aggira dolente tra l’obelisco della piazza e le stanze del palazzo dove gli sgherri di Carlo, avrebbero ucciso lei, e il suo amante. Fabrizio Carafa. L’arcangelo. Il delitto di piazza san Domenico Maggiore, quando il ‘palazzo’ non si chiamava nemmeno ancora ‘Sansevero’. Che roba, che storie. Nere, terribili, meravigliose.

Tutte dentro quel triangolo dove Alfredo De Giovanni s’è perso, e ne è uscito solo col racconto inevitabile, dei fatti. Romanzati, reali, che importa? Il Sigillo del Cristo Velato, il romanzo che De Giovanni dedica a Napoli Nera, è una storia che avremmo voluto ascoltare di notte, mille e mille volte. E lui lo fa, non si risparmia. Ci infila le mani, le braccia, in quelle suggestioni di pece, in quel catrame di magia, alchimia, passioni e vita eterna. Tutto impastato. Come fosse marmo. Come fosse una statua infinita che però non c’è più.

Bella roba, il romanzo di De Giovanni. Bel viaggio quello che propone un napoletano di Barletta. Perché Napoli la si può amare così, solo se vivi duecento chilometri più giù, del suo cuore nero, dei suoi segreti, della sua violenza.
Perché le storie che racconta, lungo secoli e secoli di mistero, erano difficili da restituire, da riscrivere, da reinventare.
Letto in un paio di notti. E poi, alla fine, all’alba, solo la voglia di amarla e basta, questa stramaledetta città.

Alfredo De Giovanni
Il Sigillo del Cristo Velato
Gelsorosso

 

 

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