Un impiegato, un investigatore scafato, una donna dalla voce ipnotica, un mago, un manuale, un agenzia di investigazione che attraverso i suoi archivi controlla tutta la città, un luna park antico e misterioso. Sono questi gli ingredienti del primo romanzo di un giovane scrittore americano Jedediah Berry. Il Manuale di Investigazione uscito nel 2009 ha vinto nel 2010 il William L. Crawford Award ed è finalista nell’Hammett Prize il premio americano assegnato ogni anno alla letteratura d’eccellenza sul crimine.
Abbiamo letto il romanzo per voi.
Jedediah Berry è un giovane scrittore americano, nato nella Regione dell’Hudson, Stato di New York, che con “Il Manuale di investigazione”, dopo diversi racconti pubblicati su riviste e giornali arriva al romanzo e non ad un genere qualunque ma al Mistery, quello con la M maiuscola. Ed il risultato è veramente sorprendente.
Il Manuale d’investigazione
“Dedicato a mia madre Maureen Berry Bliss sempre in cerca di un buon mistery”. Così si chiudono i ringraziamenti in coda al libro e c’è da dire che nelle 283 pagine che ti separano dal finale le suggestioni del mistero ci sono veramente tutte. Dalle immagini di Hetcher, ai dipinti di Magritte e de Chirico, dalle pagine di Alice nel paese delle meraviglie a quelle di Kafka e dei suoi racconti più belli. Fino ad arrivare ai fumetti. E tutto attraverso il potere della parola e della scrittura.
In città l’Agenzia investiga su tutto, e su tutti. Nei suoi immensi archivi viene classificato tutto quello che accade nella cupa città. E il compito di Charles Unwin, impiegato, è quello di organizzare in fascicoli i frammentari appunti del più celebre degli investigatori, Travis T. Sivart. Ogni detective ha un suo impiegato e Unwin è il migliore come lo è Sivart. Ma quando il detective scompare, Unwin viene inopinatamente promosso investigatore e si fa carico delle indagini, che dovrà condurre affidandosi a due sole armi, un ombrello e un manuale di investigazione che non è altro che il romanzo in cui affonda il lettore. Da questo avvio si sviluppa la storia.
Il Manuale d’investigazione è un libro strano. Davvero. Cominci a leggere senza capire dove ti voglia portare. Il tutto sembra slegato, privo di un senso, dopo le prime 50-60 pagine comincia a vacillare la stima nel “te stesso” lettore e pensi: non ho capito niente. Hai un po’ di difficoltà a seguire la storia che viene presa poi lasciata, si dirama e ad ogni curva tira fuori un nuovo personaggio, un nuovo tassello. Ma poi andanado avanti nella lettura è come se improvvisamente tutti i pezzi di un puzzle scomposto che hai avuto diffcoltà a mettere insieme e che restituivano immagini surreali e prive di senso si ricompongono da sole. Ti senti preso per mano, portato nella storia e ad un punto preciso tra l’undicesimo e il dodicesimo capitolo sei perfettamente certo che il romanzo porterà ad una fine e che quella fine sarà esattamente quella che avresti voluto leggere. Senza delusioni, senza rimpianti. Quella e non un’altra.
Solo per dare un’idea ai lettori vogliamo chiudere con alcuni passaggi perché leggere un libro è sempre meglio che farselo raccontare.
Il cuore degli archivi odorava di acqua di colonia, di polvere, del profumo dolciastro di fiori appassiti che hanno i vecchi fogli di carta. Dal soffitto pendevano grappoli di lampadine dai paralumi verdi e le pareti erano interamente tappezzate di schedari del vecchio tipo coi cassetti di legno scuro e le maniglie di bronzo…Le scale erano illuminate da deboli lampadine che tromolavano quasi volessero trasmettere un messaggio in codice. non c’era ringhiera. Gli scalini di legno scricchiolavano sotto i piedi…era un effetto del whisky se le pareti sembravano restringersi man mano che andava giù?… C’era una porta di legno alta poco più di un metro. Dall’altra parte si sentiva un rumore – un forte incessante picchettio come di molte macchine da scrivere che battevano senza sosta – Unwin tastò la porta in cerca di un pomello ma non lo trovò. Provo a spingere e la porta si aprì senza rumore. Entrò acquattandosi e dovette restare in quella posizione tanto era basso il soffitto dall’altra parte. La stanza poco più grande di una scrivania del suo ufficio era tutta rivestita di legno scuro che luccicava alla luce di un candelabro. Invece delle legioni di sub-impiegati che si era aspettato Unwin vide una donnina dai capelli d’argento raccolti in uno chignon, seduta ad uno scrittoio al centro della stanza…
Ogni cosa nel salottino sembrava ruotare attorno alla poltrona rosa. Era grande quasi tre volte quella verde e chiunque si fosse seduto li sarebbe sembrato un bambino ed era il mobile più sinistro che avesse mai visto. … fece un passo indietro. Quella poltrona gli sarebbe saltata addosso se lui gliene avesse dato l’occasione, l’avrebbe divorato…
…Una volta svanità la voce di Miss Greenwood e con lei le tristi note della fisarmonica Unwin sentì il familiare ronzio dell’elettricità statica, il fruscio, il crepitio cadenzato. Era una specie di linguaggio ma Unwin non riusciva a capirci niente. A un certo punto cessò di udire i suoni e cominciò a vederli. L’elettricità statica aveva una forma una sua dimensione. Tutt’attorno si alzavano pareti, in quella di fronte c’era una finestra, in quella alle sue spalle una porta e le altre due erano tappezzate di libri con il dorso azzurro e marrone. L’elettricità si riversò sul pavimento e creò un tappeto, creò l’ombra di due poltrone e poi le poltrone.
Il Manuale di Investigazione di Berry
22 Giugno 2010
Me ne aveva parlato bene gente di cui mi fido e così l’ho comprato.
Ieri sera ho cominciato a leggerlo. Per un po’ il gioco romanzesco e parodistico (pioggia di citazioni fatte da un autore sempre avanti rispetto al lettore costretto ad avanzare su un terreno liquido e mutevole) mi ha molto stuzzicato e mi pareva promettentissimo. Ma dopo una settantina di pagine mi sono stufato, travolto da un eccesso di cerebralità e freddezza compositiva. Per usare due riferimenti: italocalvinismo (autore che non amo per nulla. Anzi) e timburtonismo (regista che non amo per nulla. Anzi).