Ci sono dei posti. Posti che uno gli viene di andarci. Almeno per una volta. Così. Per curiosità.
Sono posti che ti saltano in testa all’improvviso. E non ci perdi neanche il tempo di chiederti il perché. Erano nascosti nella mente. Da qualche parte. Acquattati dentro un ricordo. In una sala polverosa dell’ippocampo, nel corridoio dei ventricoli laterali. Confusi in un database da quattro soldi, che probabilmente avevi chiamato “Varie”.
Ci sono posti che ti viene da andarci. E ci vai. Sul serio. Ci vai. Magari solo per.
Ma non c’è niente. Non ci sono. Scomparsi, cancellati dal tempo, travestiti da qualcos’altro. Spariti. Sarebbe bello fare un piccolo viaggio virtuale, in quei posti. Tirare giù un percorso, un itinerario del cavolo. I luoghi che non ci sono più. Ma c’erano. Giuro. C’erano.
Comincio io. Poi, se vi va…
Via Depretis, 72
“Cara mamma, sono all’albergo Bologna, in via Depretis, 72, a Napoli. E’ abbastanza buono e molto pulito. Personale quasi tutto bolognese. Ho una stanza discreta. Oggi me ne daranno una migliore…”. Dorina Corso deve aver sorriso mentre leggeva questa lettera. La data è il 23 febbraio 1938. L’albergo Bologna. Bah! “Speriamo almeno che gli cambino stanza”.
Non c’è stato il tempo, signora. Ettore Majorana è scomparso un mese dopo. Svanito. Nel nulla.
Insieme all’Albergo Bologna di cui non si hanno più tracce. Al 72 di via Depretis c’è una saracinesca sprangata. Il “Bologna è chiuso da prima del terremoto”. Dicono quelli del posto. Ora nelle stanze che ospitarono Maiorana c’è l’annona del Comune di Napoli.
Via Tasso, 484
“Lucania possiede, senza figurarne proprietario, un edificio sito in via Tasso 484, Vomero, Napoli. Lucania pagò l’immobile cento milioni di lire. Occupa uno dei due appartamenti all’ultimo piano, lussuosamente arredato. Risulta proprietario certo Carlo Scarpaio, ma in realtà non lo è. Lucania abita qui dal giugno 1952”. Guardia di Finanza il 5 maggio 1953. Verbale a carico di tal Lucania Salvatore, detto Lucky Luciano.
Riviera di Chiaia, 250
“I, their eldest child, was born at Naples, and as an infant accompanied them in their rambles… “. A Napoli? Si. A Napoli. Che sarà mai. Victor Frankenstein nasce alla fine del Settecento a Napoli. Dove? Sulla Riviera di Chiaia. Lo dice Mary. E non mi sembra il caso di mettersi ad indagare.
“Era figlio di Alfonso – mi spiega la signora mentre le guardo nella scollatura – un influente uomo politico ginevrino, appartenente a una ricca e antica casata nobiliare, e di Caroline Beaufort, a sua volta figlia di un vecchio amico di Alfonso, un tempo ricco uomo d’affari poi caduto in disgrazia, e morto in solitudine”. Bene. E perché proprio a Napoli? “Perché – risponde paziente – c’era stato mio MARITO. Dormiva al 250 di Riviera di Chiaia”. Mi scusi. Non sapevo. Che fosse sposata.
Via Crispi, ***
“Inizialmente gli esterni li giravamo a Parigi. Poi la produzione si trasferì a Napoli. La vostra città assomigliava di più alla Parigi di Simenon che la stessa Parigi contemporanea”. Se lo dice lui chi si permette di obiettare. Udite, udite: Mario Landi, il regista della serie televisiva Le Inchieste del Commissario Maigret trasmessa in Italia dalla RAI dal 1964 al 1972 e interpretate da Gino Cervi, dice che Napoli è meglio di Parigi. Lui il suo Maigret preferiva farlo passeggiare su via Crispi. E sempre in quella strada il mitico Jules si fermava, faceva l’ultima boccata di pipa e poi si infilava in un cancelletto per rientrare a casa. Casa sua. A Napoli. Scoprite qual è quel cancelletto e vi vorremo bene per sempre.
Discesa Gaiola
“Se il nome Barelli è inventato, dobbiamo aspettarci che lo siano anche quelli di Emilia e Gennaro Lucca: Watson vuole proteggere la privacy di Barelli, ma a Posillipo certamente tutti sapevano che la figlia di Barelli era fuggita con un uomo”.
Ha ragione Enrico Solito a farsi queste domande. In fondo lui è uno dei maggiori esperti di Holmes in Italia. E se c’è uno che si deve fare certe domande è senz’altro lui. Per noi la cosa è più semplice e immediata. Se c’è un racconto di Doyle che parla di Napoli. Se la protagonista di questo racconto (Il Cerchio Rosso), dice di essere nata a Posillipo. Anzi. Di essere nata a Posilippo. Con due pi. Noi andiamo lì e tentiamo di capire. Una risposta possibile? La signora Lucca deve essere nata nei terranei “Case dei Marinai”, che si trovano tutt’oggi sulla discesa a scalinata confinante con la proprietà ora Ambrosio. Oppure nella Casa Rossa, una villa un po’ più distante. Casa Rossa, Cerchio Rosso. Conan Doyle non aveva tanta fantasia. Sic!
Cinque posti. Abbiamo cominciato noi. Vediamo se siete più bravi.
Emilia è una figlia di Giuseppe Maria Mirabelli nato a Calvizzano, vicino Napoli, nel 1817. Fu un uomo di legge, sia nella pratica che nello studio: entrato nella magistratura napoletana nel 1841, si ritirò per persecuzioni politiche e vi rientrò dopo l’Unità; fu alla corte d’appello di Napoli, presiedendola; fu poi Presidente della Corte di Cassazione di Napoli fino alla pensione, nel 1892. Scrisse una quantità impressionante di testi, articoli, libri su argomenti giuridici, ed è ancor oggi considerato uno dei padri della scienza giuridica italiana. Morì a Napoli nel 1901. Fu deputato di Posillipo (e quindi qui nacque Emilia come lei dice nel racconto) per una legislatura la prima del Regno d’Italia. Fu poi nominato senatore nel 1867. Ecco quindi il nostro Barelli, padre di Emilia moglie di Gennaro Lucca, protagonisti “L’avventura del Cerchio rosso” o meglio “‘O cunto d’ ‘o Chirchio Russo”. Almeno tutto sembra tornare, compresa la scelta del nome che Watson usò per proteggerlo, e che nasconde almeno due giochi di parole. Intanto il nome proprio, Augusto; il nome dato agli imperatori romani, e Mirabelli fu davvero l’imperatore, più che il principe, del foro: ancor oggi si studiano i suoi testi e gli studenti di legge conoscono il suo nome e le sue opere. Poi il cognome, Mirabelli: è facile anagrammarlo in “I’m Barelli”, io sono Barelli. E il caso è risolto … o meglio: “the game is afoot”! caro Ciro…..