Luigi Alfredo Ricciardi, il commissario di polizia nato dalla penna di Maurizio de Giovanni non ama i giornalisti. E in genere non rilascia dichiarazioni. Ma per il debutto di Gialli.it fa un piccolo strappo alla regola e ci regala un’intervista. Esclusiva.
di FRIDA PENNINO
Il commissario che “vede i morti” ha 31 anni, è nato a Fortino nel Cilento dal Barone Malomonte e dalla baronessa Marta Ricciardi di Malomonte. Statura media, magro con un colorito bruno sul quale spiccano un paio di occhi verdi, ha le labbra sottili ed una ciocca di capelli ribelle che gli cade sempre sulla fronte.
Ricciardi è in servizio presso la Regia Questura di Napoli. Ma nasconde un segreto: vede i morti e sente il loro ultimo pensiero. Non tutti però, solo quelli deceduti per morte violenta.
Gentile Commissario Ricciardi, nell’indagine per la morte della duchessa Adriana Musso di Camparino c’è una data molto importante: il 23 agosto.
Venticinque anni prima, il 23 agosto del 1906, lei scopre la sua particolare sensibilità, cioè avverte per la prima volta quello che poi chiamerà semplicemente ” il fatto” .
Sua madre la portò fuori dal paese in cui viveva, a circa un’ora di cammino da casa. Arrivaste in un casa che sembrava abbandonata e lei “vide” un’intera famiglia barbaramente uccisa.
Si è mai chiesto perché sua madre l’ha portato proprio in quella casa? Cosa era accaduto? Chi era quella famiglia? Ne avevano parlato i giornali? C’era un legame tra quella famiglia e sua madre?
R. La cosa andò così: circa sei mesi prima, in pieno inverno come usavano fare, i briganti fecero una scorreria in zona per procurarsi da mangiare, del vino e per riscuotere la loro tassa in termini di donne. Le violentavano, uccidevano gli uomini e portavano via i ragazzi. Io ero piccolo, non ne sapevo niente, ma mia madre ne aveva sentito parlare molto in giro. Lei vedeva, ora lo so. L’ho capito molti anni dopo. Vedeva qualcosa, meno di me, ma vedeva. Portandomi in quella casa volle capire quanto e come vedessi io. L’episodio del vigneto, quando avevo visto il bracciante morto, l’aveva evidentemente messa sull’avviso.
Dopo quel giorno ne ha mai parlato con sua madre?
R. No. D’altronde mia madre era chiusa, molto riservata, poco incline anche alle effusioni, figuriamoci alle confidenze. Ritengo, ma non posso esserne sicuro, che cercasse da allora di tenermi distante da episodi di morte violenta; infatti non ho molti ricordi di cadaveri legati alla mia infanzia. Cosa diversa a partire dal tempo del collegio: ci fu quella volta che un mio compagno si suicidò, e mi diceva… Ma questa è un’altra storia.
Non ha mai cercato di capire da dove proviene questa sua capacità e se ci fosse qualcun altro in famiglia a esserne in possesso?
R. Il Fatto è una condanna, non una capacità. E non è cosa di cui si parli volentieri, né in famiglia né fuori. So di mia madre, lo so dall’episodio dei briganti e dalla sua morte sull’orlo della follia. Ma non so di nessun altro, né so da dove provenga questa maledizione. Vi posso dire che talvolta mi capita di incontrare qualcuno, animali o bambini minorati, che mi sembra reagiscano in qualche modo alla vista di morti che io vedo benissimo. Ma forse anche questa è un’illusione.
La sua tata, Rosa Vaglio, lavora per la sua famiglia da quando aveva quattordici anni. Le ha mai parlato dei suoi genitori? Di altri componenti della sua famiglia?
R. Rosa è una chiacchierona. Parla sempre della sua famiglia, di cugini, di mezzadri che se non ci fosse lei mi deruberebbero di ogni avere, della mia povera mamma, del mio povero papà che non ricordo assolutamente, dei miei poveri nonni, dei miei poveri tutti. E’ veramente insopportabile, da quando è diventata vecchia. Ma io l’amo tantissimo, anche se non glielo direi mai, e va bene anche così. Vorrei solo che condisse meno quando cucina.
E’ possibile che non sapesse niente sia della sensibilità di sua madre che della sua?
R. Certo, che non ne sa niente. Ha una mente semplice, non capirebbe neanche se glielo dicessi io. E mia madre non può averle detto niente del genere, non aveva confidenza. Rosa è così: lei si preoccupa. Non sa bene perché, ma si preoccupa. E io l’accetto per com’è.

Esclusivo. Parla il commissario Ricciardi "Altro che storie, il Fatto è la mia condanna"
2 Luglio 2009