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Craco, il paese fantasma

Viaggio nelle gosth town italiane

di Gialli.it 10 Aprile 2016

Case che sembrano facce. Volti scavati, occhi senza orbite che guardano il sonno dei calanchi.
Qualcuno dice che un po’ di tempo fa  tra quelle mura ci vivevano più di duemila persone. Oggi è solo silenzio che puzza di paura. Benvenuti a Craco vecchia. Il paese fantasma.

Siamo a mezz’ora da Matera, nella zona collinare che precede l’Appennino Lucano, a metà strada tra il mare e i monti. Craco è un pugno in faccia nella monotona bellezza di queste maestose architetture naturali che chiamano calanchi.

Non ci vuole molto a capire che questo paese di pietra ha dietro di se una storia millenaria, tramandata di padre in figlio e appiccicata a mura medievali che penzolano oblique dalle rupi creando merletti che Madre Natura si deve essere divertita molto a tessere.
Chi ha visto The Passion, il film di Gibson, non ci metterà molto a riconoscere i vicoli, le piazze, gli androni di quel borgo silente. Girarono qui anche Cristo si è Fermato ad Eboli. Perché se c’è un posto dove tutto si è fermato questo posto è qui. A ridosso del fiume Cavone, il grande corso d’acqua della Basilicata centro-meridionale, tra colline verdi e argilla, e a soli 391 metri sul livello del mare.
Anticamente si chiamava Graculum, che significa piccolo campo arato. Nel 1276 divenne sede universitaria e durante il regno di Federico II fu un importante centro strategico militare. Il torrione, che ancora campeggia severo sul punto più alto del borgo, dominava la valle dei due fiumi che scorrono paralleli, il Cavone e l’Agri, via privilegiata per chi tentava di penetrare l’interno.
Ma era un po’ come ne Il Deserto dei Tartari. Nulla e nessuno sarebbe arrivato a rompere quella quieta predestinata.
Nel 1799 un piccolo guizzo. Innocenzo De Cesare, di ritorno da Napoli con gli occhi ancora pieni di voglia di libertà, si mette alla testa di un movimento rivoluzionario che si propone “con sommosse e tumulti in tutta la regione di rompere i rapporti feudatari che caratterizzavano l’agricoltura del tempo”. Dura qualche settimana. Forse poco più. Poi a Craco la rivolta viene sedata nel sangue. Partita chiusa. Si ritorna al silenzio. Magico, penetrante. Che si rompe per l’ultima volta nel 1963. Quando il fragore assordante di una frana rompe la monotonia e si porta via una parte del borgo.
E’ l’inizio della fine. Il paese viene evacuato. Ma le case vengono definitivamente abbandonate con dolore e tristezza solo nel 1981.
Craco ripiomba in un silenzio che sembra una maledizione. E in pochi anni si conquista la fama di paese fantasma. In testa a tutte le classifiche delle Ghost Town del mondo. “Nelle sue vie deserte – scrivono gli appassionati di misteri – ogni notte risuonano strani rumori, echi di voci, grida terribili”. Sono gli spettri della memoria che si sono ripresi la loro Graculum. E che si sono fatti beffa anche delle secolare lotta al “maligno” che gli abitanti di questo paese hanno condotto senza sosta.
“Mettevamo al collo o al polso dei neonati – spiega Gianluca Pizziferri, studioso locale – un amuleto contro l’affascinatura. Dopo il battesimo, per strada, si gettavano ai bambini confetti, mandorle, castagne. Per buon augurio. Durante l’infanzia, che è l’età in cui il fanciullo era più sensibile agli influssi malefici, si praticavano riti vari di protezione magica: si facevano portare i talismani, si vietavano certi atti, come il guardarsi nello specchio e si prescrivevano numerose altre interdizioni”.

Ci avevano provato i vecchi che volevano bene a questo borgo. Ma messer Destino non deve aver apprezzato più di tanto. “Craco – dice Michele Ascoli un altro studioso locale – è un fiore reciso allo stelo che china lentamente la sua corolla”. In silenzio.
Un consiglio? Bisogna andarci tra queste mura. Bisogna camminare tra questi vicoli ed entrare in queste case per capire fino in fondo cosa significa la parola mistero.

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