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"Caravaggio fu ucciso dai Cavalieri di Malta"

di Gialli.it 4 Luglio 2009

Sul caso Caravaggio entra in gioco anche il professor Vincenzo Pacelli (Università Federico II di Napoli), uno dei maggiori esperti e conoscitori italiani del pittore. Riceviamo e pubblichiamo una sua lettera.
di VINCENZO PACELLI
Scrivo in risposta alle affermazioni dell’archeologa Giovanna Anastasia (riportate anche sul Corriere della Sera) che si dice certa di conoscere il luogo in cui fu sepolto Michelangelo Merisi da Caravaggio tanto da quasi paventarne l’immediato ritrovamento delle ossa.
Ebbene, le sfortunate vicende che riguardano la morte del pittore sono avvolte da sempre da un alone di contraddizioni che non inficiano soltanto ogni sicurezza sul suo preciso luogo di seppellimento, ma ne mettono più generalmente in dubbio l’approdo a Porto Ercole e le cause del decesso.
Il desiderio di ricostruire la verità dei fatti mi indusse nel ’94 a dedicare alla morte dell’artista un’intera opera (L’ultimo Caravaggio. Il Giallo della morte: un omicidio di Stato?), seguita da un assordante silenzio del dibattito critico, in cui emerse la generale incoerenza delle fonti, che qui ripropongo a beneficio dei lettori e della giusta memoria di un uomo.
Perché mai il pittore avrebbe dovuto raggiungere la località di Porto Ercole (e a piedi, sic!) che dista quasi 200 km dal litorale romano nel quale, sbarcato, è stato imprigionato e poi rilasciato? Non doveva portare a Roma, al cardinale Scipione Borghese, le opere che trasportava sulla sua feluca, ora che aveva anche ottenuto il perdono papale per l’omicidio di Ranuccio Tomassoni (anche se il documento della grazia non è mai stato ritrovato)?
Le fonti ufficiali rivelano contraddizioni a ogni piè sospinto: come mai il poeta Marzio Milesi, che lo commemora in tre epitaffi, si vanta di essere amico del Merisi ma non conosce la sua vera età e lo crede ancora Cavaliere di Malta? E perché Scipione Borghese, il potente Segretario di Stato Vaticano e nipote di Paolo V, al quale erano dirette le opere sulla feluca dell’artista, è informato sulla morte a Porto Ercole del Caravaggio dal nunzio Deodato Gentile, che scrive tra l’altro da Napoli, un luogo più lontano dal “fatto” di quanto non lo fosse Roma? E ancora: perché un’altra fonte, Giulio Mancini, scrive che Caravaggio sia morto a Civitavecchia, salvo poi correggere in Porto Ercole, e paragona la sua alla morte “violenta”, tramite omicidio, del concittadino Polidoro da Caravaggio? In questo momento tragico della sua vita, che fine hanno fatto tutti i potenti protettori: Vincenzo Giustiniani, il cardinal Dal Monte, Marcantonio Doria, i Colonna, gli Aldobrandini, Ciriaco Mattei? Perché nessuno di essi reclama il cadavere dell’artista per dargli onorata sepoltura? E la causa della morte? Ipertermia, postumi delle ferite dell’ottobre scorso, malaria fulminante? Anche su questo nessuno spiraglio di coerenza.
Il forte dubbio è che in realtà Caravaggio sia stato vittima di un “omicidio di stato”, organizzato dall’Ordine di Malta, del quale egli aveva offeso gravemente un cavaliere, con il tacito assenso della Curia romana, alla quale faceva comodo eliminare un personaggio così compromettente. Non è difficile individuare gli eventuali complici del delitto, e primi beneficiari dello stesso: il viceré di Napoli, che entra in possesso dei due S. Giovanni diretti a Scipione Borghese; il cardinale stesso, avido collezionista delle opere del Merisi (lui il “bandito famosissimo” che Scipione aveva precedentemente ordinato di catturare?), infine la Marchesa Costanza Sforza Colonna.
Prima della storia, la verità sulla morte di Caravaggio è stata adombrata dalla poesia: . «Fecer crudel congiura/ Michele, a danni Morte, e Natura»: è Giovan Battista Marino che piange il pittore scomparso.

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10 thoughts on “"Caravaggio fu ucciso dai Cavalieri di Malta"”

  1. Interessante la tesi del prof. Vincenzo Pacelli su i rapporti di Caravaggio con i Cavalieri Malta e sul motivo della sua fine. Vorrei aggiungere però che nonostante fosse ricercato dai Cavalieri di Malta e definito a verbale “Membrum fetidum et putridum” Caravaggio fugge dalla guva del Castello di Sant’Angelo certamente con la complicità del Gran Maestro che, per gratitudine, vedremo ritratto nella prima opera pittorica realizzata in Sicilia appena al sicuro dopo la fuga. Rappresentazione questa che purtroppo però non è stata pienamente intesa.
    Caravaggio fuggiasco sbarca quindi in Sicilia nell’ottobre del 1608 rimanendovi per gran parte dell’anno successivo.
    Il soggiorno siciliano, pur avendo avuto la durata di quasi un anno, durante il quale il pittore lombardo ha prodotto non poche opere di pittura per committenti privati e quattro grandi pale d’altare destinate a chiese di Siracusa, Messina e Palermo, città nelle quali ha soggiornato, è stato purtroppo sempre sminuito a poco più che una citazione. Sappiamo poi che giunto a Napoli, dopo il soggiorno siciliano, verrà trovato più morto che vivo davanti alla Locanda del Cerriglio.
    Ma come mai per quanto ricercato dai Cavalieri di Malta, durante il suo soggiorno siciliano nessuno si era permesso di torcergli un capello e qui rimane quasi un anno per eseguire grandi opere proprio a designazione francescana? In Sicilia chi lo proteggeva?
    In quell’epoca dopo il Vicerè, la maggiore autorità siciliana era senza dubbio l’Arcivescovo di Messina, città del più lungo soggiorno di Caravaggio e Presidente del Parlamento siciliano. Si tratta del francescano fra’ Bonaventura Secusio da Caltagirone, consigliere del re di Spagna e gran diplomatico di livello internazionale che tra l’altro aveva propiziato la pace di Vervins (1598) tra Filippo II di Spagna ed Enrico IV di Francia da poco tornato alla religione cattolica.
    Fra’ Bonaventura Secusio da Caltagirone era stato anche Ministro Generale dei Minori Osservanti con un mandato prorogato di un anno per meriti speciali.
    Proprio nella città dov’è nato questo arcivescovo di Messina, è custodito un manoscritto con una nota che si riferisce ad un giudizio espresso da Caravaggio a proposito di una statua di Antonello Gagini. Statua che si trova e si trovava proprio nella chiesa francescana in cui fra’ Bonaventura Secusio aveva ricevuto gli Ordini religiosi. La nota è stata riportata dal gesuita Francesco Aprile, illustre storico siciliano, e si tratta del più antico manoscritto (ante 1710) che si riferisca al soggiorno siciliano di Caravaggio (e che avrei voluto accludere in allegato).
    A questo punto, considerando che nel 1609 si celebrava il quarto centenario della fondazione dell’Ordine di Francesco d’Assisi è consequenziale dedurre da chi Caravaggio avesse ricevuto l’incarico di dipingere le tre grandi tele d’altare, assieme alla protezione ed alla serenità necessarie per poter eseguire queste opere. Opere tutte a destinazione francescana compresa quella messinese per la quale il pittore ricevette una retribuzione senza precedenti. Ma è consequenziale intendere così anche perché, nell’unica pala d’altare di committenza privata, Caravaggio riprodurrà una indiscutibile quanto pertinente citazione del particolare di un affresco dipinto da Giotto che si trova nella basilica di San Francesco Assisi.
    Queste considerazioni costituiscono un punto di partenza per una ricerca sul soggiorno siciliano di Caravaggio, periodo mai sufficientemente approfondito, iniziando anche una ricostruzione del suo percorso siciliano che include Caltagirone, come appunto ho iniziato nella mia recente pubblicazione Caravaggio in Sicilia – Il percorso smarrito Acireale-Roma 2008, rileggendo anche le opere troppo spesso frettolosamente e banalmente descritte sulle basi di evidenze figurative hanno condotto a fraintendimenti ed a contraddizioni. Eppure queste opere, assieme a brani della cultura siciliana, svelano l’animo di un uomo condannato a morte in attesa della remissione della pena. Svelano la condizione creativa ideale nella quale si è trovato Caravaggio, ossia quella di non subire suo malgrado condizionamenti determinanti da parte della committenza e spesso addirittura determinare il tema della rappresentazione. Un periodo cioè dove ha potuto esprimere tutto il valore del suo genio in una assoluta libertà creativa che gli ha consentito di produrre tangibili testimonianze della sua cultura e della sua arte.

  2. Interessante la tesi del prof. Vincenzo Pacelli su i rapporti di Caravaggio con i Cavalieri Malta e sul motivo della sua fine. Vorrei aggiungere però che nonostante fosse ricercato dai Cavalieri di Malta e definito a verbale “Membrum fetidum et putridum” Caravaggio fugge dalla guva del Castello di Sant’Angelo certamente con la complicità del Gran Maestro che, per gratitudine, vedremo ritratto nella prima opera pittorica realizzata in Sicilia appena al sicuro dopo la fuga. Rappresentazione questa che purtroppo però non è stata pienamente intesa.
    Caravaggio fuggiasco sbarca quindi in Sicilia nell’ottobre del 1608 rimanendovi per gran parte dell’anno successivo.
    Il soggiorno siciliano, pur avendo avuto la durata di quasi un anno, durante il quale il pittore lombardo ha prodotto non poche opere di pittura per committenti privati e quattro grandi pale d’altare destinate a chiese di Siracusa, Messina e Palermo, città nelle quali ha soggiornato, è stato purtroppo sempre sminuito a poco più che una citazione. Sappiamo poi che giunto a Napoli, dopo il soggiorno siciliano, verrà trovato più morto che vivo davanti alla Locanda del Cerriglio.
    Ma come mai per quanto ricercato dai Cavalieri di Malta, durante il suo soggiorno siciliano nessuno si era permesso di torcergli un capello e qui rimane quasi un anno per eseguire grandi opere proprio a designazione francescana? In Sicilia chi lo proteggeva?
    In quell’epoca dopo il Vicerè, la maggiore autorità siciliana era senza dubbio l’Arcivescovo di Messina, città del più lungo soggiorno di Caravaggio e Presidente del Parlamento siciliano. Si tratta del francescano fra’ Bonaventura Secusio da Caltagirone, consigliere del re di Spagna e gran diplomatico di livello internazionale che tra l’altro aveva propiziato la pace di Vervins (1598) tra Filippo II di Spagna ed Enrico IV di Francia da poco tornato alla religione cattolica.
    Fra’ Bonaventura Secusio da Caltagirone era stato anche Ministro Generale dei Minori Osservanti con un mandato prorogato di un anno per meriti speciali.
    Proprio nella città dov’è nato questo arcivescovo di Messina, è custodito un manoscritto con una nota che si riferisce ad un giudizio espresso da Caravaggio a proposito di una statua di Antonello Gagini. Statua che si trova e si trovava proprio nella chiesa francescana in cui fra’ Bonaventura Secusio aveva ricevuto gli Ordini religiosi. La nota è stata riportata dal gesuita Francesco Aprile, illustre storico siciliano, e si tratta del più antico manoscritto (ante 1710) che si riferisca al soggiorno siciliano di Caravaggio (e che avrei voluto accludere in allegato).
    A questo punto, considerando che nel 1609 si celebrava il quarto centenario della fondazione dell’Ordine di Francesco d’Assisi è consequenziale dedurre da chi Caravaggio avesse ricevuto l’incarico di dipingere le tre grandi tele d’altare, assieme alla protezione ed alla serenità necessarie per poter eseguire queste opere. Opere tutte a destinazione francescana compresa quella messinese per la quale il pittore ricevette una retribuzione senza precedenti. Ma è consequenziale intendere così anche perché, nell’unica pala d’altare di committenza privata, Caravaggio riprodurrà una indiscutibile quanto pertinente citazione del particolare di un affresco dipinto da Giotto che si trova nella basilica di San Francesco Assisi.
    Queste considerazioni costituiscono un punto di partenza per una ricerca sul soggiorno siciliano di Caravaggio, periodo mai sufficientemente approfondito, iniziando anche una ricostruzione del suo percorso siciliano che include Caltagirone, come appunto ho iniziato nella mia recente pubblicazione Caravaggio in Sicilia – Il percorso smarrito Acireale-Roma 2008, rileggendo anche le opere troppo spesso frettolosamente e banalmente descritte sulle basi di evidenze figurative hanno condotto a fraintendimenti ed a contraddizioni. Eppure queste opere, assieme a brani della cultura siciliana, svelano l’animo di un uomo condannato a morte in attesa della remissione della pena. Svelano la condizione creativa ideale nella quale si è trovato Caravaggio, ossia quella di non subire suo malgrado condizionamenti determinanti da parte della committenza e spesso addirittura determinare il tema della rappresentazione. Un periodo cioè dove ha potuto esprimere tutto il valore del suo genio in una assoluta libertà creativa che gli ha consentito di produrre tangibili testimonianze della sua cultura e della sua arte.

  3. Sia ad Alvise Spadaro che a Vincenzo Pacelli non posso altro che dire che il “mistero di Michelangelo Merisi”, al di là della sua vicenda terrena, è tutto racchiuso nelle sue opere pittoriche e che ora il mito che è nato intorno alla sua esistenza altro non è che un nostro “business” in nome del solito “clamore mediatico” che si fa su un personaggio controverso della storia artistica di tutti i tempi, indubbiamente uno dei massimi artisti di sempre. Quanto alle vicende di vita dell’artista, in mancanza di riscontri documentari oggettivi, soprattutto relativi all’ultimo tragico periodo, fino alla morte, non possiamo far altro che ricercare e confrontare i documenti che rimangono, sia pur estremamente frammentari e delle volte labili, stando bene attenti che possono anche depistare dalla verità, che forse non verrà mai a galla, come altre volte è accaduto nella storia.

  4. Sia ad Alvise Spadaro che a Vincenzo Pacelli non posso altro che dire che il “mistero di Michelangelo Merisi”, al di là della sua vicenda terrena, è tutto racchiuso nelle sue opere pittoriche e che ora il mito che è nato intorno alla sua esistenza altro non è che un nostro “business” in nome del solito “clamore mediatico” che si fa su un personaggio controverso della storia artistica di tutti i tempi, indubbiamente uno dei massimi artisti di sempre. Quanto alle vicende di vita dell’artista, in mancanza di riscontri documentari oggettivi, soprattutto relativi all’ultimo tragico periodo, fino alla morte, non possiamo far altro che ricercare e confrontare i documenti che rimangono, sia pur estremamente frammentari e delle volte labili, stando bene attenti che possono anche depistare dalla verità, che forse non verrà mai a galla, come altre volte è accaduto nella storia.

  5. VORREI COMPLIMENTARMI COL DR. ALVISE SPADARO CHE HA FORNITO CONVINCENTI E CONCRETE CHIARIFICAZIONI SULL’ IPOTIZZATA UCCISIONE DEL CARAVAGGIO AD OPERA DEI CAVALIERI DI MALTA. LO RINGRAZIO ULTERIORMENTE PER AVERE ARRICCHITO LA SUA RELAZIONE CITANDO IL SECUSIO E L’ILLUSTRE GESUITA FRANCESCO APRILE.

  6. VORREI COMPLIMENTARMI COL DR. ALVISE SPADARO CHE HA FORNITO CONVINCENTI E CONCRETE CHIARIFICAZIONI SULL’ IPOTIZZATA UCCISIONE DEL CARAVAGGIO AD OPERA DEI CAVALIERI DI MALTA. LO RINGRAZIO ULTERIORMENTE PER AVERE ARRICCHITO LA SUA RELAZIONE CITANDO IL SECUSIO E L’ILLUSTRE GESUITA FRANCESCO APRILE.

  7. Non ho la competenza , nè le fonti per poter dare un contributo valido sulle ultime vicende di Caravaggio, però che il suo sia stato un omicidio di stato , mi sembra una ipotesi fantascientifica. Era un tipo rissoso, una personalità come dire schizofrenica ( vedi i suoi comportamenti litigiosi, da attabrighe ed i suoi quadri che sono commoventi , perfetti, ispirati da una fede sincera.
    E poi i Cavalieri di Malta non erano dei monaci laici ? , Suppongo quindi che il perdono dei loro nemici facesse parte del loro statuto, e il Merisi non era un tepppistello qualunque.da punire tout court

  8. Non ho la competenza , nè le fonti per poter dare un contributo valido sulle ultime vicende di Caravaggio, però che il suo sia stato un omicidio di stato , mi sembra una ipotesi fantascientifica. Era un tipo rissoso, una personalità come dire schizofrenica ( vedi i suoi comportamenti litigiosi, da attabrighe ed i suoi quadri che sono commoventi , perfetti, ispirati da una fede sincera.
    E poi i Cavalieri di Malta non erano dei monaci laici ? , Suppongo quindi che il perdono dei loro nemici facesse parte del loro statuto, e il Merisi non era un tepppistello qualunque.da punire tout court

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