A settembre, nella sale italiane, il docu-film dedicato ad una delle più belle voci della musica mondiale: Amy Winehouse. La pellicola, firmata dal pluripremiato regista inglese Asif Kapadia, è stata già presentata a Cannes, ma in Italia è ancora inedita’. Conviene prenotarsi.
La trovarono che mancavano sette minuti alle quattro. Di pomeriggio. In un letto sudato al 30 di Camden Town. Due passi dalla prima casa di Charles Dickens.
Era il 23 luglio del 2011.
Stop and Go. Dissero. Ti fermi, ti rifai dopo un po’, e te ne vai. Al creatore.
Aveva 27 anni. Scassata fino all’inverosimile. Lei che era stata una delle donne più belle della musica rock, finì dritto dritto nel Clb della J27. In compagnia di Brian, Jimi, Janis, Jim. In compagnia di tutti quei musicisti ‘maledetti’ che si bruciarono la vita a 27 anni.
Un destino scritto in un’iniziale. E la beffa è che lei, Amy Whinehouse, la J l’aveva pure nascosta bene. Nel secondo nome. Nel nome che aveva voluto darle il padre. Jade.
Ora sulla sua vita, sulla sua ‘strana’ morte, e sulla parabola che la portò fino all’ultimo gradino dell’inferno, è pronto un film: Amy. The Girl Behind the Name. Una sorta di lungo documentario, firmato da regista inglese di origini indiane Asif Kapadia, che aveva già direto il docu-film di Ayrton Senna. In Italia uscirà il 15, 16 e 17 settembre, ma l’opera è già stata presentata a Cannes, scatenando la rabbia della famiglia della cantante.
La Winehouse di Kapadia è un mix tra Kurt Cobain e Marilyn Monroe. Fragile, persa, predestinata al successo e alla conseguente rovina. Ma, secondo molti è anche un po’ Lady Diana, sempre inseguita dall’industria del gossip e vittima del grande circo dei paparazzi.
Kapadia la presenta con un occhio impietoso. I suoi uomini –il marito e il padre – ne escono come approfittatori o per lo meno come testimoni incoscienti della sua rovina. E al termine dei 128 minuti di documentario il paragone con giganti come Billie Holiday a Janis Joplin è inevitabile.
Hanno collaborato al documentario Mitch Winehouse, il padre di Amy e la Amy Winehouse Foundation, oltre a Raye Cosbert, il suo manager per la Metropolis Music. I suoi amici stretti, dopo il funerale avevano deciso di non parlare più della sua storia e non volevano essere coinvolti, ma a poco a poco, il team ha riconquistato la loro fiducia e Juliette Ashby e Lauren Gilbert le sue amiche di sempre e il suo primo manager Nick Shymansky hanno infine accettato di collaborare con testimonianze e video.
Finale assegnato ad una frase che sembra scritta da un destino beffardo e cattivo: “Non penso che diventerò mai famosa. Non lo potrei reggere. Diventerei pazza”.
Amy Whinehouse. Il film
Arriva il documentario sulla morte
30 Luglio 2015