Centoundici anni fa moriva la Vedova Nera. Era il 28 aprile del 1908, quando la fattoria di La Porte, nell’Indiana, prese fuoco. Tra le macerie ritrovarono lei, Belle Gunness, i suoi tre figli, Myrtle di undici anni, Lucy di nove e Philip di cinque, e altri 29 cadaveri, conservati in dei sacchi di tela. Mutilati, devastati. Era l’ultimo atto della storia di uno dei più terrificanti e prolifici serial killer della storia. 16 vittime accertate, 40 omicidi che le vengono attribuiti, ma sui quali non è mai stata fatta luce fino in fondo.
Lei uccideva per danaro. I mariti, i figli, per le polizze assicurative, i suoi amanti per i soldi che erano capaci di metterle a disposizione. Le vittime venivano intercettate grazie a degli annunci matrimoniali pubblicati sui quotidiani d’America. Chi accettava, coloro che si presentavano al suo cospetto, morivano nel giro di una notte. L’incendio alla fattoria, e il successivo processo mise la parola fine ad una strage che gli inquirenti appresero solo durante l’inchiesta. Ma, molti anni dopo, furono in molti a giurare di averla vista anche successivamente la sua presunta morte. Il caso venne riaperto, il corpo sottoposto a una nuova autopsia. Le misure non corrispondevano a quelle della donna di origini norvegesi, alta più di un metro e ottanta. Ormai era troppo tardi per intervenire. Nel 1931 a Los Angeles venne ucciso August Lindstrom, un ottantunenne di origini norvegesi. L’uomo fu avvelenato da una certa Esther Carlson. Alta 1,83. Norvegese. E un passato di cui nessuno sapeva nulla.
Qualche giorno fa Marble Arch, il cuore della rivolta di Extinction Rebellion, a Londra, si è fermato per un momento. Mentre intorno tutto bruciava, in nome della lotta contro l’estinzione totale, qualcuno si è accorto che su un muretto sul ciglio della strada era spuntato un disegno di una bambina che stringe nel pugno il simbolo della rivolta. Banksy. Non c’erano dubbi. E in un attimo la Rivoluzione è diventata bellezza e mistero, arte e beffa. Il writer senza volto era lì, tra i ragazzi che gridavano slogan di filosofi impossibili, e poeti straccioni. Ma nessuno, Nessuno, ha visto niente. Come sempre, come in un romanzo dove i protagonisti hanno la maschera di Anonymus, e sono uno, mille voci condivise, interscambiabili. Invincibili. Dopo il ‘raid’ di Londra Gialli.it si è chiesto quanti siano, oggi, gli artisti senza volto. E perché hanno fatto una scelta del genere. Ecco qualche storia.
M¥SS KETA Il primo nome non può essere che quello di Myss Keta, la rapper nata nei sotterranei di Milano e indiscussa icona afro in salsa elettronica. Lei sulla faccenda del ‘volto coperto’ ha le idee chiare: “Datemi una maschera e vi dirò la verità”. Era il 2013, e aveva appena pubblicato il suo “Milano Sushi e Coca”, da allora non si è fermata più. Il nuovo album Paprika è già un cult, ma sulla sua identità nessun passo avanti. Un fantasma metropolitano di latex e visual kitsch. Eccessiva, ‘pornografica’, dolorosa. Di lei si sa che è parte di un progetto musicale e artistico, nato nel 2013, da un collettivo di ragazzi di Milano, i Motel Forlanini, che lavoravano insieme alle ragazze di Porta Venezia: Miuccia e Donatella. Stop. Poi lei prova a giocare con gli indizi e racconta un po’ di sé. Il nome della rapper potrebbero conoscerlo solo gli uomini con cui è stata. Importanti, noti, potenti. Dice. Da tangentopoli alla Milano da bere sarebbero passati tutti nel letto di Myss Keta. E i fan sono impazziti. Per capire, escludere, ipotizzare. Ad oggi, nessun nome. Lei rimane senza volto e scale tutte le classifiche.
The André Il secondo nome è quello che sta spopolando in questi mesi su Youtube. Una ‘sagoma’ che canta la trap con la voce del grande Fabrizio. Uguale. Da lasciare senza fiato. Ho “tra i 20 e i 30 anni” The André. Non è di Genova e studia Scienze della Comunicazione in una università di Milano. Per lui l’anonimato non è una scelta ‘ideologica’ o di marketing. Dice di essere solo uno che ama profondamente la sua privacy, e la difenderà con i denti. Intanto ha duettato con Dolcenera, e qualcuno che conosce il suo vero volto c’è. Tanto che i fan hanno già scoperto le sue origini friulane, la sua ‘bugia’ sull’Università (sarebbe iscritto a Lettere e non a Scienze della Comunicazione) e soprattutto che il suo nome si cela nella sigla del suo canale Youtube: Gab Loter. Un anagramma? Staremo a vedere.
Ma che fine ha fatto Liberato? Se The André è il fenomeno web del momento, del rapper napoletano che aveva infiammato l’Italia per qualche anno, si è persa ogni traccia da un bel po’. Liberato è scomparso alla fine del 2018. Nessun singolo, nessuna data per il suo nuovo album. Solo un appuntamento al 22 giugno a Roma, poi il silenzio. Che si è rotto qualche giorno fa, quando il rapper ha postato un misterioso video a bordo di un motoscafo. Alle spalle Capri, di sottofondo “Tu t’è scurdat e me”. La data, il 25 aprile. Il giorno della Liberazione. Apriti cielo. Mille speculazioni, e la speranza che quella clip possa essere l’apertura di un nuovo capitolo della sua storia. E del suo successo inarrestabile. Che forse ha messo a rischio anche il suo anonimato. Secondo molti, infatti, dietro il volto coperto del rapper ci sarebbe Livio Cori. Che abbiamo visto quest’anno a Sanremo con NinoD’Angelo, in una esibizione che non ha entusiasmato più di tanto. Ora i fan aspettano news, e intanto spopola il suo alter ego femminile. Catena. Stessa felpa e un singolo che è tutto un programma: “Nun m’aggio scurdat”. Il mistero si infittisce.
“Da questo momento in poi finisce la disperazione e iniziano le tattiche”. C’è scritto su un muro di Londra. A Marble Arch, due passi da HydePark. Sotto c’è una bambina. E una piccola pianta che sta germogliando. E’ un murales. L’ha realizzato ‘Lui’ dice la gente. E c’è anche chi da alcune notti fa il turno per evitare che accada qualcosa all’ultima opera di Banksy.
Era da un po’ che il misterioso writer non colpiva al cuore. E sull’ultimo raid, nei convulsi giorni di proteste, happening e blocchi stradali con i quali quelli di Extinction Rebellion stanno mettendo a ferro e fuoco Londra per denunciare “l’emergenza dei cambiamenti climatici”, c’è ancora tanto mistero. Su twitter il movimento ambientalista insiste che la bambina è del massimo esponente della street art, sul profilo Instagram (quasi sei milioni di follower), che lo stesso Banksy ha creato per rivendicare le sue opere, del ‘raid’ londinese non c’è traccia. Eppure sono in molti a giurare che l’artista militante fosse a manifestare a Marble Arch, proprio nella strada dove è poi apparsa l’opera.
Stesso giallo di Tokyo, insomma. Dove, nel gennaio scorso, milioni di fedeli seguaci del writer, seguirono con ansia Instagram per avere la conferma che il “topo grigio con l’ombrello”, apparso sulla porta della stazione di Hinode, nel centro della città, fosse firmato da Banksy in persona. L’attesa fu vana, l’opera rimossa e conservata in un magazzino. Ora a Londra nessuno vuole che accada una cosa del genere, e gli stessi militanti di Extinction Rebellion fanno a turno per evitare che la bambina che cita il filosofo belga Raoul Vaneigem, teorico del Situazionismo, possa essere rimossa.
Napoli capitale di Westeros. Oggi il Trono dei Sette Regni è alla Mostra d’Oltremare. E la Grande Battaglia comincerà alle 15,30 in punto, quando il Teatro Mediterraneo, trasformato idealmente nella Fortezza Rossa, ospiterà ser Bronn delle Acque Nere. Al secolo Jerome Flynn, ospite d’onore della Fiera Internazionale del Fumetto.
Bel colpo per la XXI edizione del Comicon. Arriva l’attore britannico celebre anche per il ruolo del caporale Paddy Garvey nella serie televisiva Soldier Soldier, e i fan di Game of Thrones sono in fibrillazione. Flynn, che vive a Londra, e insieme a Paul McCartney è uno dei sei sponsor della Vegetarian Society, è probabilmente uno dei più amati e seguiti interpreti di GoT. Fedele scudiero di Tyrion Lannister, mercenario per passione e voglia di libertà, ma anche desideroso di avere un castello tutto suo dove svernare dopo la Grande Guerra, nella vita privata è un attore di teatro, un cantante di successo, e ha avuto una veloce e turbolenta relazione con Lena Headey, l’odiata Cersei di Apprododel Re. Oggi a Napoli festeggerà la Final Season de Il Trono di Spade, e forse, domani, sarà a passeggio per la città. Non è la prima volta che Partenope ospita un protagonista di Game of Thrones. Nell’estate di due anni fa il bagno di folla e il calore dei napoletani toccò a Kit Harington, meglio noto come Jon Snow, e a Emilia Clarke, la Regina dei Draghi, entrambi ospiti della campagna di Dolce & Gabbana.
Siamo andati a vedere Avengers Endgame, a Napoli. Dopo tre ore di film, in sala tanti dubbi e perplessità, su quello che doveva essere un finale epico e indimenticabile. E che, secondo molti, non sarebbe stato all’altezza delle aspettative.
Venerdì sera, 25 aprile, Metropolitan di Chiaia. Lo spettacolo è quello delle 21,30. La sala non è piena. Ma tra le poltrone rosse un pubblico di super esperti. Fan che sanno ogni cosa degli eroi Marvel, e si capisce dai commenti, dalle reazioni, dai primi sussurri che serpeggiano nel buio, alle primissime scene del kolossal finale firmato Anthony e Joe Russo. Proveremo ad evitare spoiler. Diciamo solo che nella prima mezz’ora la sorpresa, la curiosità, i commenti ad alta voce, sono stati la dominante della serata. Qualcuno diceva “c’è qualcosa di strano, non capisco…”. Altri non s’aspettavano lo sviluppo che ha avuto la storia già nelle prime battute. Insomma qualcosa non tornava fin dall’inizio. Ma i fedelissimi non hanno mollato e per tre ore è stato un tam tam di applausi a scena aperta, risate e lacrime. Naturalmente. Alla fine, mentre tutti aspettavano le scene finali, quelle di rito dopo i titoli di coda (che poi non sono arrivate) abbiamo raccolto qualche impressione. Nessuno ha detto “non mi è piaciuto”, ma nessuno era convinto fino in fondo di aver visto il film che ci si aspettava. “Troppo frettoloso – dice un ragazzo che per tre ore aveva spiegato agli amici tutto quello che non tornava – bruciate le scene più attese, e anche la battaglia finale non ha avuto quell’epicità che meritava”. “Non è un Endgame – dice invece una ragazza – sembra quasi che sia un episodio di passaggio, con un evento eccessivo che andava gestito meglio, con più rispetto per i protagonisti in gioco”. Insomma, Napoli si diverte con il ventiduesimo film Marvel, ma esce dalla sala con la sensazione che non è ancora tutto finito. Che il Finale deve ancora arrivare. Per noi di Gialli.it? Un sei pieno, e anche noi attendiamo un altroFinale.
Sei minuti per sbirciare nel noir più atteso dell’anno. Trecentosessanta secondi per vedere il volto che Toni Servillo sta per regalare ad uno dei personaggi dei fumetti più amati e apprezzati nel mondo: Peppino Lo Cicero, il guappo disegnato da Igort, che ora sta per diventare anche un film.
Ennesimo grande evento per il Salone Internazionale del Fumetto di Napoli. Oggi pomeriggio, alle 16, sullo schermo del Teatro Mediterraneo della Mostra d’Oltremare, Comicon presenta, in anteprima mondiale, le prime scene di 5 è il numero perfetto. L’attesissima pellicola del direttore editoriale di Linus, che ha scritto un pezzo della storia dei fumetti in Italia. ‘5’ è la sua graphic novel più famosa. Dieci anni per realizzarla, nove paesi che l’hanno tradotta e il premio per il Libro dell’anno alla Fiera di Francoforte di qualche tempo fa. E’ “il più bel romanzo noir italiano”, hanno scritto in molti. E forse è vero. La Napoli di Igort, piovosa, nera, ‘vuota’, sembra la prosecuzione di un romanzo di Matilde Serao, o di Mastriani. Attinge alla letteratura popolare e la spinge oltre ogni stereotipo verso un genere che le calza a pennello: il noir. Molto più che il ‘giallo’. Le tinte di Igort, le atmosfere nelle quali si muove questo guappo d’altri tempi, dal nome un po’ buffo, sono la Napoli dei grandi scrittori di fine Ottocento. Quella città che ha poi prodotto i Ferrandino, i De Giovanni. Pericle il Nero e il commissario Ricciardi.
5 è il numero perfetto sarà nelle sale entro la fine dell’anno. Protagonista un irriconoscibile Toni Servillo, ma anche Valeria Golino e Carlo Buccirosso. In tre per raccontare il ‘ritorno’ di un vecchio guappo in pensione, segnato dai ricordi e dalle preoccupazioni per un figlio cui toccherà insegnare le regole d’onore della criminalità d’altri tempi. Il film è prodotto da Propaganda Italia e da Jean Vigo Italia con Rai Cinema, ed è una coproduzione con Belgio (Potemkino Film) e Francia (Mact Productions e Cité Film). Ci vediamo al Comicon, alle 16 in punto.
Le leggende napoletane a fumetti. Al Comicon la vomerese PhoenixPublishing presenta il suo Munaciello illustrato, e tra i saloni del Salone Internazionale del Fumetto arriva tutta la magia di NapoliNera. Le sue storie, i suoi segreti, le sue antiche leggende. Il volumetto è firmato da Emanuele Pellecchia e Francesco Saverio Tisi, con le illustrazioni di Gianluca Testaverde. Protagonista una Napoli ‘velata’ e ammantata di mistero, che ‘culla’ la struggente storia d’amore tra CaterinellaFrezza e StefanoMariconda. I due ragazzi, che secondo la prima versione della leggenda più famosa di Partenope, furono i genitori del bambino che diventò, nell’immaginario popolare, il Munaciello. Nel libro anche un’altra storia napoletana indimenticabile: quella di Carlo Maria Vulcano e delle presenze demoniache all’interno del convento dei Gerolamini. Un gran bel lavoro, che è un vero e proprio viaggio nel fantasticonapoletano, che non smetterà mai di affascinare e di lasciarsi raccontare.
Phoenix Publishing, ramo editoriale della casa di produzione video Phoenix Film, ha sede al Vomero, in via Morghen, ed è diretta da Emanuele Pellecchia. Con lui Gianluca Testaverde, editor e illustratore, Luna Cecilia Kwok, vice editor, grafica e art director, Francesco Saverio Tisi, sceneggiatore e Ilaria Luongo, amministratrice. Al Comicon li trovate al Padiglione 1, Stand 15. Fateci un salto. Ne vale la pena.
Napoli. Sarà una storia d’amore, girata tra Milano e Trieste, e proposta nelle sale nel 2020, il nuovo, ‘misteriosissimo’ Diabolik, dei Manetti Bros.
L’auditorium della Mostra d’Oltremare era stracolmo, qualche ora fa. Al Comicon c’era Mario Gomboli, il pàtron del Re del Terrore, che presentava i registi italiani scelti per riportare sul grande schermo il ‘suo’ Diabolik.
Tanta gente, tanta curiosità e l’emozione che si tagliava col coltello. Quella di Marco e Antonio Manetti, soprattutto. Che con la loro bella sincerità hanno ammesso che si tratterà del loro film più difficile.
Poche anticipazioni. Voglia di non svelare. Ma un po’ di cose sono uscite. La storia tra Diabolik ed Eva Kant come ‘chiave’ del film. E poi Milano come Clerville e Trieste come Ghenf, per dare subito i colori e l’atmosfera in cui si caleranno i due registi romani.
Nessuna forzatura sul personaggio. Meno che mai luoghi comuni. “Erano anni – ha detto Gomboli – che aspettavo un Diabolik così”.
E loro, i Manetti Bros, si sono anche un po’ commossi.
La curiosità è che il film non esiste ancora. Finito da poco il soggetto, solo ora si lavora alla sceneggiatura. Nessuna idea del ‘difficilissimo’ cast e dei tempi di produzione.
Napoli ha apprezzato l’entusiasmo e l’onestà, e alla fine ha applaudito a lungo. Il Re del Terrore arriverà all’improvviso, quando vorrà, come sempre.
21 candeline e 150mila amici a soffiare. Stamattina tagliata la torta della ventunesima edizione del Comicon, la kermesse internazionale del fumetto e del gioco, diventata, ormai, uno dei fiori all’occhiello di Partenope la bella. Quella che ci piace, insomma. Il party d’apertura al Mann di Napoli, tra applausi, entusiasmo e un puntino d’emozione per un successo inarrestabile che dura ormai dal lontano ottobre 1998. Quando la scommessa di un Salone del Fumetto tutto napoletano fu lanciata nelle austere mura di Castel Sant’Elmo, e sembrò una follia. Da allora tanta acqua sotto i ponti, mille e mille ospiti, ma soprattutto centinaia di migliaia di ragazzi entusiasti che hanno trasformato la sfida in una meravigliosa realtà. Per l’edizione numero 21, presentata dai direttori Claudio Curcio e Matteo Stefanelli, un programma da togliere il fiato. Quattro giorni di full immersion, tra fumetti, editoria, giochi di ruolo, cosplay, e incredibili ospiti internazionali. Start il 25 aprile alle 10 in punto, chiusura del sipario domenica sera, con l’obiettivo di superare i 150mila spettatori dell’anno scorso.
Anche quest’anno Gialli.it seguirà l’evento per i temi che più sono in linea col nostro webmagazine. E già da domani saremo in prima linea a seguire l’anteprima di Unfriended: Dark Web, l’horror cult scritto e diretto dallo specialista Stephen Susco, le prime anticipazioni del film Diabolik dei Manetti Bros., e la presentazione dei Bastardi di Pizzofalcone a fumetti. Magari facendo un salto al Torneo di Vudù, e ai giochi ‘in giallo’ di Alfonso di Palma. Sarà un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Se vi va seguiteci, e per orientarvi tra le mille proposte vi consigliamo un’occhiata al Sito Ufficiale dove troverete anche il programma dettagliato. A presto.
“La vita del professore girava intorno a un’unica idea: Resistenza. Suo nonno, che aveva combattuto i fascisti al fianco dei partigiani, gli aveva insegnato questa canzone, e lui l’aveva insegnata a noi.” Se c’è una “meravigliosa bestemmia” ne La Casa di Carta di Álex Pina, è proprio la folle idea di far cantare a dei banditi l’Inno della Resistenza italiana, Bella Ciao, che esplose in tutta la sua potenza simbolica al primo Festival mondiale della gioventù democratica, che si tenne a Praga nell’estate del 1947. Nella serie televisiva spagnola, lanciata due anni fa e diventata di culto in pochi mesi, il canto popolare italiano viene intonato, per la prima volta, la notte in cui il Professore, teorico della grande rapina, e Berlino, suo fratellastro, decidono di ‘andare fino in fondo’ al loro progetto delirante: stampare due miliardi e quattrocento milioni di euro, direttamente all’interno della Zecca nazionale spagnola, e scomparire nel nulla. Da allora Bella Ciao è diventata una delle canzoni più amate in Spagna, ed è stata remixata in mezzo mondo, facendo ballare e cantare centinaia di miglia di ragazzi e facendo storcere il naso a molti ‘puristi’ della Rivoluzione.
Può Bella Ciao diventare l’Inno di una banda di ladri? O, peggio ancora, può diventare un motivetto da discoteca? Non è questa la sede per affrontare un tema così delicato. La memoria di quanti hanno combattuto per la Liberazione è sacra, anche per un webmagazine leggero come Gialli.it. Però a noi piace pensare che le parole di Pina siano vere e convinte: “La serie gioca apertamente con l’etica e con il continuo oscillare tra bene e male e mette lo spettatore in un’empatia diversa a seconda dei momenti e delle scelte dei personaggi. Abbiamo lavorato molto con un materiale sociale di grande attualità: lo scetticismo e con un sentimento diffuso in questo momento: la delusione. Delusione nei confronti del nostro governo, della banca centrale, con la politica sui migranti, sul commercio, sulle tematiche ambientali. Sarà colpa della crisi del 2008 o della sfiducia nei confronti del sistema ma la delusione ha generato una mancanza di speranza in molte generazioni, per questo la serie ha trovato tanta adesione. È Davide contro Golia e lo spettatore sta sempre dalla parte di Davide”. Finché c’è resistenza c’è speranza. E se quell’Inno, che rischiava di essere dimenticato, arriva tra i giovani e ci permette di parlarne, di ricordare cosa accadde oltre settant’anni fa in Italia, va bene così. Oggi c’è chi tenta di cancellare il 25 Aprile. Noi ‘resistiamo’ e cantiamo Bella Ciao anche insieme al Professore e a Berlino. Quello che conta è cantare. A squarcia gola: “Questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà”.