Autobiografie: Io sono Diabolik

Ora anche i fumetti si sono messi a scrivere! Diabolik, il ladro più scaltro e affascinante di sempre, forse stanco di un mestiere che non ha più niente di eccezionale, ha deciso di fare altro: racconterà la sua vita. In un romanzo autobiografico.
di LAURA CIOTOLA
In “Io sono Diabolik”, un’autobiografia di 184 pagine, pubblicata dalla Mondadori, per la prima volta, sarà un fumetto “in persona” a raccontare al mondo di sé.
Tutte le imprese del Re del Terrore sono spiattellate in un libro che sa di straordinario se si pensa che a firmarlo è proprio Mario Gamboli, sceneggiatore del fumetto e direttore di “Astorina”, la casa editrice che lo pubblica.
Il libro, che è preceduto da un prologo illustrato di 14 pagine con tavole inedite disegnate da Giuseppe Palumbo, ripercorre tutte le tappe del fumetto a partire dalla creazione, avvenuta nel 1962 per un’idea di Angela Giussani, che osservando i pendolari volle creare per loro un fumetto “giallo” formato tascabile.
Le origini di Diabolik sono da sempre oscure e misteriose, tanto che il n.5 dell’albo del 1968, “Diabolik, chi sei?”, fu dedicato proprio a questo lato oscuro del noto personaggio.
Ma il mistero fu svelato solo in parte.
Da qui la decisione di Diabolik di raccontarsi anche se, come lui stesso scrive, delle sue origini conosce poco. Sa, o almeno così crede, di essere stato “… fortunosamente recuperato dalla scialuppa di salvataggio di una nave, affondata probabilmente al largo di una piccola isola nell’Oceano Orientale…”.
Ma se sulle sue origini non ha certezze, più concreto risulta il racconto del rapporto che lo lega al suo nemico di sempre, l’Ispettore Ginko e della storia d’amore con la compagna di vita, Eva Kant.
E, in un eccesso di sincerità da parte dell’uomo, che ha trascorso la vita all’ombra di bugie e complotti,  ad essere messi a nudo sono anche la sua Jaguar E-Type nera e tutti i trucchi del mestiere.
In attesa che Diabolik torni in sé e riprenda la strada di crimini e rapine, a noi non resta che leggere le sue memorie dettate dall’unica onestà di cui è sempre stato dotato, quella intellettuale.

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Il Manuale di Investigazione di Berry

Un impiegato, un investigatore scafato, una donna dalla voce ipnotica, un mago, un manuale, un agenzia di investigazione che attraverso i suoi archivi controlla tutta la città, un luna park antico e misterioso. Sono questi gli ingredienti del primo romanzo di un giovane scrittore americano Jedediah Berry. Il Manuale di Investigazione  uscito nel 2009 ha vinto nel 2010 il William L. Crawford Award ed è finalista nell’Hammett Prize il premio americano assegnato ogni anno alla letteratura d’eccellenza sul crimine.
Abbiamo letto il romanzo per voi.
Jedediah Berry è un giovane scrittore americano, nato nella Regione dell’Hudson, Stato di New York, che con “Il Manuale di investigazione”, dopo diversi racconti pubblicati su riviste e giornali arriva al romanzo e non ad un genere qualunque ma al Mistery, quello con la M maiuscola. Ed il risultato è veramente sorprendente.
Il Manuale d’investigazione
“Dedicato a mia madre Maureen Berry Bliss sempre in cerca di un buon mistery”. Così si chiudono i ringraziamenti in coda al libro e c’è da dire che nelle 283 pagine che ti separano dal finale le suggestioni del mistero ci sono veramente tutte. Dalle immagini di Hetcher, ai dipinti di Magritte e de Chirico, dalle pagine di Alice nel paese delle meraviglie a quelle di Kafka e dei suoi racconti più belli. Fino ad arrivare ai fumetti. E tutto attraverso il potere della parola e della scrittura.
In città l’Agenzia investiga su tutto, e su tutti. Nei suoi immensi archivi viene classificato tutto quello che accade nella cupa città. E il compito di Charles Unwin, impiegato, è quello di organizzare in fascicoli i frammentari appunti del più celebre degli investigatori, Travis T. Sivart. Ogni detective ha un suo impiegato e Unwin è il migliore come lo è Sivart. Ma quando il detective scompare, Unwin viene inopinatamente promosso investigatore e si fa carico delle indagini, che dovrà condurre affidandosi a due sole armi, un ombrello e un manuale di investigazione che non è altro che il romanzo in cui affonda il lettore. Da questo avvio si sviluppa la storia.
Il Manuale d’investigazione è un libro strano. Davvero. Cominci a leggere senza capire dove ti voglia portare. Il tutto sembra slegato, privo di un senso, dopo le prime 50-60 pagine comincia a vacillare la stima nel “te stesso” lettore e pensi: non ho capito niente. Hai un po’ di difficoltà a seguire la storia che viene presa poi lasciata, si dirama e ad ogni curva tira fuori un nuovo personaggio, un nuovo tassello. Ma poi andanado avanti nella lettura è come se improvvisamente tutti i pezzi di un puzzle scomposto che hai avuto diffcoltà a mettere insieme e che restituivano immagini surreali e prive di senso si ricompongono da sole. Ti senti preso per mano, portato nella storia e ad un punto preciso tra l’undicesimo e il dodicesimo capitolo sei perfettamente certo che il romanzo porterà ad una fine e che quella fine sarà esattamente quella che avresti voluto leggere. Senza delusioni, senza rimpianti. Quella e non un’altra.
Solo per dare un’idea ai lettori vogliamo chiudere con alcuni passaggi perché leggere un libro è sempre meglio che farselo raccontare.
Il cuore degli archivi odorava di acqua di colonia, di polvere, del profumo dolciastro di fiori appassiti che hanno i vecchi fogli di carta. Dal soffitto pendevano grappoli di lampadine dai paralumi verdi e le pareti erano interamente tappezzate di schedari del vecchio tipo coi cassetti di legno scuro e le maniglie di bronzo…Le scale erano illuminate da deboli lampadine che tromolavano quasi volessero trasmettere un messaggio in codice. non c’era ringhiera. Gli  scalini di legno scricchiolavano sotto i piedi…era un effetto del whisky se le pareti sembravano restringersi man mano che andava giù?… C’era una porta di legno alta poco più di un metro. Dall’altra parte si sentiva un rumore – un forte incessante picchettio come di molte macchine da scrivere che battevano senza sosta – Unwin tastò la porta in cerca di un pomello ma non lo trovò. Provo a spingere e la porta si aprì senza rumore. Entrò acquattandosi e dovette restare in quella posizione tanto era basso il soffitto dall’altra parte. La stanza poco più grande di una scrivania del suo ufficio era tutta rivestita di legno scuro che luccicava alla luce di un candelabro. Invece delle legioni di sub-impiegati che si era aspettato Unwin vide una donnina dai capelli d’argento raccolti in uno chignon, seduta ad uno scrittoio al centro della stanza…
Ogni cosa nel salottino sembrava ruotare attorno alla poltrona rosa. Era grande quasi tre volte quella verde e chiunque si fosse seduto li sarebbe sembrato un bambino ed era il mobile più sinistro che avesse mai visto. … fece un passo indietro. Quella poltrona gli sarebbe saltata addosso se lui gliene avesse dato l’occasione, l’avrebbe divorato…
…Una volta svanità la voce di Miss Greenwood e con lei le tristi note della fisarmonica Unwin sentì il familiare ronzio dell’elettricità statica, il fruscio, il crepitio cadenzato. Era una specie di linguaggio ma Unwin non riusciva a capirci niente. A un certo punto cessò di udire i suoni e cominciò a vederli. L’elettricità statica aveva una forma una sua dimensione. Tutt’attorno si alzavano pareti, in quella di fronte c’era una finestra, in quella alle sue spalle una porta e le altre due erano tappezzate di libri con il dorso azzurro e marrone. L’elettricità si riversò sul pavimento e creò un tappeto, creò l’ombra di due poltrone e poi le poltrone.

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"Caro Andrea, continua tu… con affetto, Carlo!" Ecco il giallo a quattro mani di Camilleri e Lucarelli

Camilleri e Lucarelli insieme per un giallo scritto a quattro mani. Esce il 23 giugno “Acqua in bocca”, con protagonisti il commissario Montalbano e l’ispettore Grazia Negro, personaggio creato dall’autore di Blu Notte. Il ricavato delle vendite andrà in beneficenza.
di ADRIANA D’AGOSTINO
Cinque anni di lavorazione, 108 pagine, due scrittori, due investigatori, uno strano caso di omicidio: “Acqua in bocca” sarà sugli scaffali delle nostre librerie da mercoledì 23 giugno e sarà firmato Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli. Ma c’è di più. I protagonisti dell’originale racconto scritto a quattro mani, saranno proprio loro, il commissario Montalbano e l’ispettore Grazia Negro, i celebri personaggi creati dalle penne dei due autori più popolari del genere giallo in Italia. Un’opera di crossover pubblicata dalla Minimum Fax, il cui ricavato andrà in beneficenza alle associazioni S. Damiano e Papayo. Poche indiscrezioni sulla trama, solo il ritrovamento di un cadavere e l’inquietante presenza di alcuni pesciolini rossi lasciati dall’assassino sul luogo del delitto. Probabilmente un avvertimento…
Un esperimento, quello di Acqua in bocca, nato per caso: Lucarelli e Camilleri si incontrano nel 2005 a Roma. Entrambi hanno preso due giorni di pausa dai rispettivi impegni, per girare un breve documentario nella Capitale. Il documentario si intitola A quattro mani, non a caso. Le riprese sono per Raitre, prodotte proprio dalla Minimum Fax e dirette da Matteo Raffaelli. Durante una pausa tecnica, tra i due giallisti comincia un gioco o, forse, una sfida: come si comporterebbero Montalbano e la Negro, insieme, di fronte ad un cadavere? Da quello che doveva essere un semplice scambio di idee, comincia a prendere vita una storia.
Un morto. Un delitto con modalità fuori dal comune. L’ispettrice salentino-bolognese Negro capisce subito la gravità della situazione e scrive una lettera con una richiesta di aiuto e collaborazione. La lettera dovrà arrivare fino all’estremo sud dell’Italia. In Sicilia. A Vigata. Il destinatario sarà Salvo Montalbano, il Commissario Montalbano, che, in questo libro, non usa parole in dialetto. Anzi. Per la prima volta, viene descritto anche quasi calvo come lo Zingaretti attore che ne veste i panni da tempo in tv. Di fronte ad una indagine non autorizzata, il Commissario si mette subito al lavoro. La situazione è delicatissima. Nessuno dei due detective può sbagliare, se no la pagheranno cara. L’unico modo per comunicare tra loro, è quello di inviarsi, nei modi più strani, indizi ed informazioni.
Un rapporto epistolare, quindi, fatto di atti, tagli di giornale, missive e pizzini. Solo così, parallelamente, i due poliziotti cercheranno di arrivare alla risoluzione del caso. Ecco spiegata la particolare struttura di Acqua in Bocca. Un noir costituito per lo più dal materiale scambiato tra i personaggi stessi nel corso dello sviluppo della trama. Materiale che, mentre si accumula, permette ai pezzettini del mosaico di ricomporsi davanti al lettore e con il lettore.
Pare che Camilleri si sia ispirato al “Murder Off  Miami” del 1936, giallo scritto da Dennis Wheatley proprio nello stile di un dossier della polizia. Un’idea sperimentale. Ma probabilmente anche l’unica che poteva consentire di scrivere un racconto in due senza mai incontrarsi. Lucarelli e Camilleri si sono, infatti, confrontati solo tramite lettere, e-mail (in realtà poco simpatiche a Camilleri ) e grazie all’intervento dell’editore Daniele Di Gennaro, fattorino di carte da una parte e dall’altra. Facilmente spiegabili, quindi, i lunghi tempi di stesura. Ma scrivere Acqua in bocca è stato, per gli autori, soprattutto un gioco. E, nel gioco, ognuno può prendersi i propri tempi. E divertirsi a provocare l’altro. Magari inviando al collega un nuovo elemento all’improvviso, facendogli mettere in discussione tutto lo scritto fino a quel momento. Oppure, come ha raccontato lo stesso Lucarelli, arrivare al momento cruciale di un inseguimento, far pronunciare al cattivo di turno “Ora non potete fare altro che ammazzarmi” ed inviare i fogli a Camilleri con il messaggio “Caro Andrea, continua tu”. Per sapere il continuo correte in libreria.

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"L'Hotel Ritz è in vendita" Ma è una truffa alla Totò

Londra. Incredibile truffa ai danni di un noto immobiliarista inglese. Per la “modica” cifra di 250 milioni di sterline due mediatori londinesi hanno provato a “cedere” l’Hotel Ritz. E un po’ come accadde nel film Tototruffa 62,  quando Totò e Nino Taranto tentarono di vendere la Fontana di Trevi, l’uomo ci è cascato. Ora la vicenda è finita in tribunale.
di DIEGO PURPO
Terence Collins è un furbo. Uno con il fiuto per gli affari. Uno che ne capisce, che si sa muovere. Uno che un’occasione così non se la lascia scappare: acquistare per soli 250 milioni di sterline un edificio il cui valore di mercato è di circa 600 milioni. Un accordo verbale, una stretta di mano tra distinti uomini inglesi, la caparra di appena 1 milione e l’hotel Ritz diventa proprietà di Mr. Collins. Ma ci spiace Mr. Collins. E’ una truffa.
Londra, marzo 2006. Patrick Dolan e Anthony Lee si presentano a Terence Collins, immobiliarista, quali mediatori nella vendita dell’hotel Ritz, nominati direttamente dai proprietari Sir David e Sir Frederick Barckleys. Il loro compito, avviare le operazioni di cessione dell’edificio e trovare un acquirente disposto a spendere 250 milioni di sterline. Con loro c’è anche Conn Farrell, avvocato e consulente legale.
E Terence Collins un affare così proprio non se lo può far sfuggire. Lui è un esperto nel settore. Gli affari li sa fiutare e quel palazzo al numero 150 di Piccadilly vale almeno 600 milioni di sterline.
Devono saperlo anche i nostri tre amici quanto vale quel palazzo. Loro però, di mestiere, non vendono immobili. Loro, di mestiere, fanno i ladri, molto ben organizzati, e riescono ad attirare Collins nella trappola.
Una piccola caparra e Collins procede al versamento di 1 milione di sterline sul conto dei presunti mediatori, che da quel momento in poi diventano improvvisamente irreperibili.
Il tutto ricorda sorrisi in bianco e nero, immagini cult del celebre film Tototruffa 62 e la famosa falsa vendita della Fontana di Trevi che Totò e Nino Taranto eseguono ai danni di Ugo D’Alessio.
Basta poco affinché “l’esperto” uomo d’affari comprenda di essere stato raggirato e denunci il fatto alle autorità.
Ha ora il via, presso la corte di Southwark, il processo che vede Dolan, Lee e Farrell imputati per truffa. E pensare che tutto ciò si sarebbe potuto evitare se solo Terence Collins avesse visto un po’ di ottimo cinema italiano.

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Twilight. The short second life of Bree Tanner Quella voglia di oscuro che c'è in ognuno di noi

Sulla classica copertina con sfondo nero è disegnata una clessidra di vetro, nella quale scorre una polvere color rosso sangue. E’ uscito l’11 giugno in tutte le librerie “The short second life of Bree Tanner”, nuovo breve romanzo di Stephenie Meyers in cui oltre alla storia di un nuovo personaggio, l’autrice svela interessanti retroscena legati all’intera trama della saga Twilight. La tiratura del libro in Italia sarà di 300.000 copie per quello che si preannuncia come nuovo caso editoriale. Ma chi è la Bree Tanner del titolo?
di ADRIANA D’AGOSTINO
“Bree Tanner ricorda appena come fosse la sua vita prima di acquisire dei riflessi sovrumani e un’inesauribile forza fisica. Prima che una sete insaziabile di sangue si impossessasse di lei prima che qualcuno decidesse di trasformarla in vampiro. Tutto quello che Bree sa è che vivere tra i suoi simili comporta poche certezze e ancor meno regole: guardati alle spalle, non attirare l’attenzione e, soprattutto, torna a casa prima dell’alba o morirai. Quel che non sa è che il suo tempo da immortale sta velocemente per scadere”.
Chi è Bree Tanner?
Fino a qualche giorno fa nessuno avrebbe saputo rispondere a questa domanda, a meno che non si fosse trattato di un accanito fan della saga Twilight. Da venerdì 11 giugno, invece, tutto il mondo può leggere la storia della giovanissima e sfortunata Bree. E’ uscito in tutte le librerie, infatti, “The short second life of Bree Tanner”, scritto dall’autrice di fama internazionale Stephenie Meyers, lungo 224 pagine ed edito in Italia da Fazi al prezzo di 18, 50 euro. Una sorta di breve novella da collegare ad Eclipse, il terzo volume sulla saga dei vampiri più amati dai giovanissimi. Nel libro appena pubblicato, le vicende vissute da Edward e Bella vengono per la prima volta descritte attraverso un nuovo punto di vista: a raccontare, infatti, è la voce della piccola Bree, personaggio meteora che, in Eclipse, compare ad appena dieci pagine dalla fine, prima di essere travolta nella battaglia finale in cui perderà la vita. In effetti, la prima reazione dei tanti fan della saga è stata di stupore: perché dedicare un approfondimento alla vita di un personaggio così marginale? Perché, piuttosto, non pubblicare Midnight Sun, l’ultima attesissima fatica della Meyers di cui è stata, poi, interrotta la stesura. Ma la spiegazione arriva dalla autrice stessa, quella che, ormai, viene definita affettuosamente dai fan zia Stephenie. Pare che zia Stephanie avesse cominciato a scrivere questa storia molto tempo fa, molto prima che uscisse il film Twilight. Era il periodo in cui stava ultimando il romanzo Eclipse. Come tutti i lettori della serie sapranno, in Eclipse vengono introdotti i cosiddetti vampiri neonati, persone comuni trasformate in succhiasangue dalla perfida Victoria, nemica numero uno dei Cullen assetata di vendetta. Per non combattere da sola, Victoria crea intorno a sé un piccolo esercito di nuovi vampiri assoldati nella città di Seattle e dintorni. Un esercito di mostri programmati per uccidere, ma dall’anima originariamente innocente. Di tutti i vampiri neonati, solo di una viene specificato il nome in tutto il romanzo: quello di Bree Tanner. Bree è l’unica ad aver ancora conservato dei sentimenti umani, l’unica ad arrendersi ed a chiedere aiuto per essere salvata. Quella che proverà a diventare vegetariana, ma che alla fine sarà uccisa dalla famiglia dei Volturi. La storia triste di una ragazzina, che, ha affascinato la Meyers durante la sua scrittura, più di quanto lei stessa si sia inizialmente accorta: “Pensavo che sarebbe diventato un racconto breve da pubblicare sul mio sito, poi di inserirlo nella Guida ufficiale alla Saga di Twilight che sto scrivendo. Alla fine la storia è cresciuta più di quanto immaginassi, fino a diventare troppo lunga per essere pubblicata all’interno della Guida. Appena ho iniziato a scrivere dal suo punto di vista è diventata viva sul serio. Per me è stato più duro uccidere Bree di quanto lo sia stato per ogni altro personaggio, eppure l’ho uccisa per la seconda volta”.Sarà così che la scrittrice comincerà a ricostruire in un nuovo progetto letterario la storia di Bree: i primi amori, la trasformazione in vampira tra atroci sofferenze, la scelta di uccidere per sopravvivere. Non c’è traccia di buoni sentimenti in questa breve, seconda vita di una adolescente acqua e sapone, vittima di un passato che è lei stessa a raccontare: abusi in famiglia, la vita per la strada, il rischio della tossicodipendenza ed infine la vendita di sé stessa al mondo dei vampiri in cambio di un cheeseburger. Certo, ci si potrebbe trovare mancanza di originalità, ma non si può negare alla scrittrice la scelta di temi assolutamente di impatto per il suo pubblico. Una voce comune quella di Bree, che sembra uscire da un silenzioso e solitario buco nero. Ed ora più che mai quella del vampiro, comincia a delinearsi come la metafora di una vita votata alla, seppur affascinante, autodistruzione. In più attraverso il romanzo verranno alla luce misteri e segreti che la protagonista di Twilight, Bella, non ha mai saputo e, quindi, neanche i suoi lettori. Ovviamente, sapere  della vita di Bree Tanner porterà lo spettatore ad affezionarsi di più a lei nonostante la sua breve comparsa nel film Eclipse, nelle sale il 30 giugno. Proprio per questo, zia Meyers ha consigliato caldamente ai suoi lettori di leggere questo racconto prima dell’uscita del film, per saperne di più. Il regista David Slave ha dichiarato di aver letto in anticipo la bozza di The short second life of Bree Tanner, così da poter arricchire la sceneggiatura e poter scegliere una giusta interprete per il ruolo. Alla fine la scelta è caduta su Jodelle Ferland, quattordicenne dai lunghi capelli castani e felpa a quadrettoni col cappuccio, già protagonista di altre pellicole horror come Silent Hill e Case 39. Che rappresenti la parte più dark di Stephenie Meyer o sia solo una trovata commerciale poco importa. Abbiamo comunque la soluzione alla nostra domanda: chi è Bree Tanner? Potremmo dire la voglia di oscuro che c’è in ognuna di noi, con, come cantava qualcuno, i fantasmi dietro la porta ed il rossetto sul comodino.

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