Un tesoro dal valore inestimabile. Uno dei ritrovamenti più incredibili di tutti tempi. 1500 artefatti militari, 5 chili d’oro e 2,5 chili d’argento. Armi, pietre preziose, monili. Roba da far girare la testa. Lo ha trovato un signore che quest’estate gironzolava con il suo metal detector nelle campagne londinesi. Era lì da 1400 anni. E nessuno ne aveva mai avuto il più lontano sospetto. Le agenzie di stampa internazionali hanno battuto la notizia poi hanno annunciato che da oggi il “Tesoro di Terry” è visitabile al Museum and Art Gallery di Birmingham. Ma non hanno detto che sullo Staffordshire Hoard si nasconde l’ombra lunga di un mistero antico. Eccolo.
di SONIA T. CAROBI
Per raccontare il segreto del Tesoro dei Sassoni (così lo ha definito la stampa) dobbiamo partire da quello che è accaduto quest’estate. Nello Staffordshire del Sud. In una località non ben identificata e sulla quale vige il più stretto riserbo. La nostra storia comincia con una scommessa. Un gioco tra amici. Terry Herbert 55 anni, disoccupato, è un appassionato di metal detecting. Passa una vita a perlustrare le campagne londinesi. E un bel giorno propone ad un suo amico di fare una ripassatina anche alla sua tenuta. Non si sa mai. L’altro (anche in questo caso nome e cognome sono secretati) accetta. Forse solo per vedere fino a che punto Terry è un pazzo scatenato. Comincia così una caccia al tesoro che porterà ad un scoperta considerata superiore a quella della tomba del faraone Tutankamon. Con un attrezzo comprato di seconda mano, circa 14 anni fa, Terry individua una sorta di collezione da guerra da lasciare senza fiato. A mani nude tira fuori circa cinquecento pezzi unici, poi quando si rende conto che non può andare avanti da solo, chiama degli esperti. Il risultato è un incredibile tesoro risalente al VII secolo, destinato, secondo agli archeologi, a riscrivere la storia britannica dell’Alto Medioevo. Tra pietre preziose e spade intarsiate d’oro gli studiosi ritrovano anche una piccola custodia d’oro. Con sopra un’iscrizione. In latino. Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimici eius, et fúgiant qui odérunt eum, a fácie eius. Si tratta di un verso della Bibbia, l’inizio del salmo 67, attribuito a Davide. E’ un’acclamazione, il grido di guerra che Mosè e il suo popolo ripetevano ogni volta che l’Arca veniva issata per guidare il cammino nel deserto. Niente di particolare se si trattasse solo di questo. Il problema è che il salmo 67 è anche un esorcismo. L’ultimo ad usarlo fu Leone XIII (il papa ossessionato dal demonio e morto agli inizi del ‘900) contro “Satana e gli Angeli ribelli”. Il Mistero di Staffordshire Hoard E vabbè. Che sarà mai. In fondo, quella frase “Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano, e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano”, è pur sempre un grido di guerra. E quella dello Staffordshire è una collezione militare. Forse addirittura un bottino di guerra. Ma chi lo ha nascosto lì, e perché? “Non esiste alcun documento né alcuna indicazione sulla presenza di un sito archeologico nella contea”, ha giurato Steve Dean, archeologo dello Staffordshire. Ma su questa cosa molti hanno fatto domande e nessuno ha ritenuto di dover dare una risposta. In occasione della mostra al Birmingham Museum and Art Gallery è stato realizzato un sito ad hoc sullo Staffordshire Hoard. C’è di tutto. La storia del tesoro, le ipotesi e le spiegazioni storiche e scientifiche degli esperti. C’è finanche un po’ della vita del nostro Terry Herbert e la possibilità di fare domande su ciò che verrà esposto. Ecco. Se entrate nella sezione “Questions & Answers” la prima domanda che leggerete è anche la più naturale. “Where was the Hoard found?”. Dove cacchio lo avete trovato questo tesoro? La risposta è: “It is not being revealed at this time”! Per due motivi “fondamentali”. Il luogo dove è stato trovato è proprietà privata, e il proprietario ci ha chiesto di non rompere i coglioni. Legittimo. E plausibile.
Ma allora perché insistere tanto con lo Staffordshire? Perché lasciare che blog e siti di appassionati pubblicassero mappe con il possibile luogo del ritrovamento? Sembra quasi che “qualcuno” volesse far sapere “qualcosa” ad “altri” che noi non possono capire. Allora, visto che si gioca sul mistero, vi raccontiamo una storia. Valutate voi. Il Giardino dell’Ammiraglio Avete mai sentito parlare dello Sheperd’s Monument? E’ un mausoleo. Fu fatto costruire dalla famiglia Anson allo scultore James Stuart. Sul monumento, un po’ di tempo fa, è stata scoperta una curiosa scritta: D.O.U.O.S.V.A.V.V.M. e sotto di essa una D ed una M. Si tratta di un codice che ha indotto molti studiosi a ritenere che il mausoleo e quello strano messaggio potrebbero contenere, addirittura, la risposta al mistero del Sacro Graal. E si, perché secondo i rumors del passato, il buon ammiraglio George Anson, famoso per aver terminato la circumnavigazione del globo nel 1744, aveva forti legami con i Templari e quel mausoleo altro non è che una versione al rovescio (come se riflessa in uno specchio) di un’opera di Nicholas Poussin, “I tre pastori di Arcadia”. Un mito templare che raffigura una donna che osserva tre pastori intorno a una tomba, i quali a loro volta indicano la scritta: “Et In Arcadia Ego”. Per molti appassionati quell’opera indica il luogo dove è nascosto il Sacro Graal. Anson l’aveva nel suo giardino. E volete sapere dove sta il “giardino” dell’ammiraglio? A Shugborough, nello Staffordshire. Nello stesso luogo dove si diceva fosse nascosto un tesoro di inestimabile valore. Un tesoro protetto da un esorcismo! E’ per questo motivo che dietro lo Staffordshire Hoard c’è tanto riserbo? Difficile dare una risposta. Ma la sensazione è che sul tesoro del vecchio buon Terry Herbert sentiremo ancora parlare. A lungo.
Archivio mensile:Settembre 2009
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2009, arrivano i ladri di identità
Il fenomeno è ormai diffusissimo soprattutto in rete. Rubano carte di credito, carte d’identità, codici di accesso. Si fingono quello che non sono. Nella rete, con le banche, nei furti di appartamento. Sono i ladri di identità. Sono i criminali che nell’epoca della globalizzazione guadagnano di più. E un giorno potresti accorgerti di avere il conto prosciugato, di essere stato in un posto che in realtà non hai mai visto. O magari di finire in prigione. Come è accaduto a Luca Cesaretti rilasciato il 16 settembre dopo cinquanta giorni di galera.
di LAURA CIOTOLA
E’ comodamente steso sul letto di casa sua a guardare la televisione quando i carabinieri lo portano via. Mandato di cattura internazionale per furto. Un castello a Pullach in Germania nel 2002. Un appartamento a Villach in Austria nel 2003. Una villa a Monaco di Baviera nel 2006. E il suo Dna è lì che lo inchioda. Luca Cesaretti. Lo stesso Luca Cesaretti fermato e schedato in Austria nel 2003. E’ stato ribattezzato il giardiniere Arsenio Lupin. Già perché Luca Cesaretti di mestiere fa il giardiniere. Ed è a lui che il 9 luglio è arrivato l’ordine di arresto europeo emesso dalla pretura di Rosenheim. Il problema è che Luca Cesaretti, residente a Empoli e di professione giardiniere, in Germania e in Austria non c’è mai stato.
Dopo 50 giorni di prigione, grazie all’ostinazione del suo avvocato, Antonio Virzì, e grazie ad agende, fatture della sua impresa di giardinaggio relative ai giorni dei furti, amici e conoscenti (compreso un carabiniere) pronti a testimoniare, la Procura di Firenze lo ha rilasciato. La prova determinante è stata la comparazione delle impronte digitali. Quelle prelevate in Germania nel 2003 e ritrovate poi nella villa, a Monaco di Baviera, nel 2005, non corrispondono a quelle di Luca Cesaretti, o almeno, del “vero” Luca Cesaretti.
Scambio di identità. O forse è meglio dire furto d’identità. Il ladro gli ha rubato tutto. Il nome e cognome, la professione, la vita. Per 50 giorni.
Furto di identità. Un fenomeno in espansione
Fino a qualche tempo fa, fino a quando internet non ne ha amplificato la portata, quello del furto di identità era un reato circoscritto e sottovalutato. Oggi non è più così.
I nuovi Lupin del XXI secolo si impossessano del nome e dei dati altrui. Nessuno spargimento di sangue, nessuna arma, nessun contatto. Uccidono se stessi e poi rinascono. Come la fenicie. Chi perde la pace, la sicurezza e la vita è la vittima violentata e privata dei propri soldi e dei propri diritti.
Le modalità di cui si servono per reperire i dati sono diversissime e vanno dal recuperare documenti cestinati alla più nota pirateria informatica. La pirateria. La nuova frontiera della frode. Il movente. Ovviamente i soldi.
In America nel 2005 sono state rubate oltre 8 milioni di identità. Se si pensa che il guadagno va da un minimo di 500 dollari ad un massimo di 6000 dollari per tipologia di furto, le cifre diventano astronomiche.
In Italia siamo un po’ più fortunati. Il fenomeno non è ancora dilagante. Non ancora.
Il metodo? Un attacco di spam. Una massa di email inviate senza il consenso dei destinatari sparge un cavallo di troia (definito in gergo trojan) nei pc. Un programma si insinua nella memoria dei computer. Lo rende vulnerabile. Accessibile. E il gioco è fatto. Vere e proprie organizzazioni criminali sottraggono identità, coordinate bancarie, numeri di carte di credito direttamente dai computer degli utenti, siano essi dipendenti di un’azienda o privati cittadini.
E questo è solo uno dei tanti scenari di guerra moderna. Ci sono gli sms, le promesse di guadagni facili, le email false. Spamming. Phishing. Whaling. Spoofing. Ma che roba è? I poveri utenti della rete sono persi, abbandonati, non capiscono, non sanno. Il gioco è ancora più facile. Come il lupo con l’agnello.
Offerta di identità. Un fenomeno appena nato
I ladri d’identità si nascondono. Tramano nell’ombra di un pc e negli angoli bui della rete. Ma non è sempre così. Perché c’è qualcuno che con questo fenomeno riesce anche a guadagnarci legalmente. E’ storia di oggi. In Giappone si sono inventati un nuovo mestiere. Procacciatori di identità false. Ovviamente legali. Serve un amante per ingelosire il marito? Un testimone per un matrimonio? Un caro amico per un’occasione speciale? Un finto capo ufficio? Le agenzie, per un compenso minimo di 100 euro, per una prestazione media e “silenziosa”, riescono a fornirti qualsiasi cosa tu voglia. Negli ultimi tre anni il numero delle agenzie è raddoppiato. La più grande, la Office Agent, offre mille identità per tutte le richieste.
Leggendo la notizia viene da sorridere. Ma guarda un po’ cosa si sono inventati.
Ma mettendo assieme i due fenomeni pensi a come il nostro mondo stia diventando davvero misterioso e incomprensibile. Da un lato c’è chi è violato della propria identità. Dall’altro c’è chi della propria identità non sa che farsene e prova a vivere la vita di altri o a vivere la propria fingendo che sia quella di un altro.
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Stairway to Heaven, la musica del Demonio
Ci sono canzoni che ti rimangono dentro per una vita. Che lasciano il segno, che ti porti dietro come una valigia sfondata. Canzoni che sono ricordi, colori, profumi, mani che ti accarezzano. Ma che sono anche storie, parole, messaggi e segreti.
Ce ne sono decine di canzoni così. Magiche, nere, seducenti. Ma una su tutte rimane la Regina del Mistero. La scrissero quattro ragazzi un po’ di tempo fa. E fu leggenda.
Ecco il nostro viaggio nei luoghi oscuri di Stairway to Heaven.
di ANTONIO SCATTERO
Quarant’anni fa mandarono in stampa il loro primo album. Sulla copertina c’era un dirigibile. Ma non un dirigibile qualunque. Il più grande oggetto volante mai costruito. Un LZ 129 Hindenburg. Che si chiamava come il suo ideatore, il conte Ferdinand von Zeppelin.
Ma anche come loro. Il quartetto britannico che in una notte si inventò l’hard rock. Jimmy Page, Robert Plant. John Paul Jones e John Bonham. Insomma, i Led Zeppelin.
Otto lustri a svisare sulle chitarre, a sfondare amplificatori, a fare impazzire di desiderio le groupies. Ma anche ad incidere dischi e firmare pietre miliari della musica rock. Come Stairway to Heaven. Uno dei brani più belli del Novecento. “Si, ci sono due strade che puoi percorrere, ma a lungo andare c’è sempre tempo per cambiare strada… “.
Ecco è proprio di questo che vogliamo parlarvi. Di Stairway to Heaven e di tutto quello che ha significato quel pezzo.
Perché la musica rock non è stata solo note, ma anche parole, messaggi, misteri.
E in quegli otto minuti e due secondi di bellezza assoluta, il mistero è l’unico protagonista. Noblesse oblige, mister Lucifer.
1971. Una scala per il paradiso
“Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima toccava il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa”. Genesi 28:12.
Qualcuno dice che siano parti da qui. Ma immaginarsi Page che legge la Bibbia fa un po’ strano.
La cominciarono a scrivere nel 1970. Il 5 marzo del ‘71 alla Ulster Hall di Belfast la suonarono per la prima volta dal vivo. E fu delirio.
Stairway to Heaven è entrata nelle vene di intere generazioni, è il brano più richiesto nelle radio di mezzo mondo e solo la partitura ha superato da tempo il milione di copie vendute.
Un capolavoro assoluto con una “strana” storia che si muove penetrante tra note e accordi. Quella storia, si dice, è dedicata a Lucifero.
“Cause you know sometimes words have two meanings”. Le parole hanno due significati. E questo lo sappiamo. Ma quando ascolti “…If there’s a bustle in your hedgerow, don’t be alarmed now it’s just a spring clean for the May Queen / Yes, there are two paths you can go by, but in the long run there still time to change the road you’re on…” (…Se c’è trambusto fuori dalla porta, non ti allarmare è solo la pulizia di primavera in onore della Regina di Maggio / Si, ci sono due strade che puoi percorrere, ma a lungo andare c’è sempre tempo per cambiare strada… ) non ti viene subito da pensare che devi fermare il disco e riascoltarlo. Al contrario.
E’ solo allora, solo allora, che una voce ti sussurra “Oh here’s to my sweet Satan. The one whose little path will make me sad, whose power is Satan. He’ll kill you with his 666. And in a little toolshed he’ll make us suffer, sad Satan”. (Oh Questo è per il mio dolce Satana, colui il cui piccolo sentiero mi renderà triste, con i suoi poteri è Satana. Lui ti ucciderà con il suo 666 e in un capanno degli attrezzi ci farà soffrire, triste Satana).
Figli di puttana. Stramaledetti Led Zeppelin. Ci andaste giù duro con le cazzate.
Il mio vicino di casa dice che l’ha sentita da qualche parte, quella melodia. “Cristo! L’ho sentita in Scozia. Sul lago di Loch Ness. Sembrava arrivare da lontano, da qualche villa sulle rive del lago! E’ possibile?”.
Certo che è possibile, coglione. Lì c’è Boleskine House. La villa di Aleister Crowley. Mai sentito nominare? E’ il padre del satanismo. E quella villa la vendette per quattro soldi. Perché era una villa maledetta dove di notte si sentiva una cazzo di strana melodia.
“E chi la comprò?”.
Molti anni dopo la comprò James Patrick Page, imbecille.
Lo chiamavano Jimmy. Fondò i Led Zeppelin.
“E la melodia, quella che si sentiva di notte?”
Stairway to Heaven. Echeccazzo.
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Gamecon, un "brand" chiamato Horror Analisi su un genere in continua espansione
Tra le varie iniziative organizzate nell’ambito del Gamecon napoletano 2009, di particolare interesse si è rivelata la tavola rotonda “Ossessioni e Possessioni”: l’horror al cinema e nei videogiochi. Per effettuare un’attenta analisi di come un prodotto, l’horror, possa essere portato avanti con grande successo su varie piattaforme. Ce ne parla Luna Saracino una giovane esperta del genere.
di Adriana D’Agostino
Premessa fondamentale della conferenza, tenutasi domenica 20 settembre nella Sala Incontri di Castel Sant’ Elmo, è stata quella di affrontare un argomento di così grande attualità evitando qualsiasi tipo di impostazione accademica. I giovanissimi relatori sono infatti intervenuti in quanto studiosi di cinema, appassionati di videogiochi e perché spesso tecnici impegnati in entrambi i settori. Stefano Mancini è, ad esempio, un critico video- ludico ma anche un membro di Aiomi, Associazione Italiana Opere Multimediali Interattive. Alessandro Giordani è, invece, montatore e regista esordiente della casa di produzione Digital Room. Infine, tra i presenti, il gruppo Pix Rev casa di produzione, stavolta, di videogiochi. Nel ruolo di moderatrice Luna Saracino, rappresentante del portale wingsofmagic.it e studentessa della facoltà di Arti e Scienza dello Spettacolo presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma. Proprio a Luna abbiamo rivolto alcune domande per saperne di più.
D. Come è nata l’idea di questa conferenza al Gamecon?
R. La conferenza è stata il risultato di una collaborazione con Marco Accordi, direttore culturale del Gamecon che ne ha favorito l’organizzazione.
D. Nell’organizzarla, che finalità vi eravate prefissati?
R. Quella prima di tutto di dimostrare come l’horror non sia da attribuire ad un genere di serie B. Oggi come oggi l’Horror è un fenomeno commerciale che attira e che deve svilupparsi. Quello che si dice un brand. Quando l’horror lo vediamo trattato in videogioco e poi in un film ne scopriamo il potere cross mediatico. Cioè non una semplice trasposizione, ma qualcosa che si evolve e che cresce.
D. Se non c’è un semplice processo di conversione che tipo di rapporto c’è tra film horror e videogioco horror?
R. Di contaminazione. Gli elementi tipici dei film dell’orrore si ritrovano in molti videogiochi. Si tratta soprattutto di luoghi significativi per l’essere umano che vengono turbati. La paura scatta quando una casa o la famiglia vengono attaccate dall’esterno e sconvolte nella loro sicurezza. Parlando di videogiochi Silent Hill è, ad esempio, piena di queste ambientazioni: ad essere attaccati sono orfanatrofi, scuole, ospedali, chiese.
D. Altri esempi di contaminazione?
R. Pensiamo solo a film come Rec e Cloverfield. In questi, l’inquadratura dominante, che facilita l’immedesimazione, è la semi-soggettiva tipica dei videogiochi. Così come nei videogiochi, mettendo di seguito le parti esclusivamente dedicate alla narrazione, ci accorgiamo che ne viene fuori un vero e proprio film o comunque una fiction: addirittura in Metal Gear Solid il personaggio Snake invecchia in ogni nuova edizione del videogioco di cui è protagonista. Una grandissima novità.
D. Durante la conferenza è stato toccata l’ annosa questione esistente tra l’horror psicologico e quello cosiddetto splatter: quale ha più impatto sul pubblico. Il videogioco, per la sua esperienza diretta è forse quello che garantisce il maggiore impatto con le scene splatter che molti ragazzi cercano?
R. Prima di tutto, dal mio punto di vista, sia l’horror in genere che lo splatter devono essere vissuti da subito come esperienza formativa di metafora della realtà. In più posso dire che anche il videogioco di zombie nasconde una psicologia che, forse, è ancora più di impatto. Gli zombie non sono altro che le paure dell’uomo che si materializzano. Lo dimostrava agli inizi degli anni ’80 Peter Jackson nei suoi primi film, si è visto in Italia con Cannibal Holocaust e poi, ovviamente, con Romero. Alla fine ci si chiede da dove nasca la vera crudeltà, se dal mondo dell’orrore o se dall’uomo stesso.
D. Ti stai per laureare con una tesi incentrata sul cinema horror. Qualche caposaldo da consigliare?
R. “Il Pozzo e il Pendolo” di Roger Corman, film del 1961 e “Rosemary’s baby” di Roman Polanski.
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Mostri, leggende e antiche paure Ecco cinque storie da "brivido"
Primo decennio del nuovo secolo. Tornano antiche paure, tornano leggende e mostri.
Gialli.it vi racconta gli avvistamenti degli ultimi tre anni. Dai “succhiacapre” del Texas, ai “blob” delle fogne del North Carolina, passando per Monty, la star del Web, il mostro di Montauk.
Ma non sempre dietro queste storie c’è solo la curiosità. A volte la paura del diverso scatena cinismo e violenza. Come nel caso del “mostro di Panama”.
Ecco cinque storie esemplari. Ecco i cinque mostri più gettonati del web.
di FRANCESCO MASCOLO
2007. L’anno di Chupacabra
A dirla con quelli di Wikipedia sarebbe un animale leggendario capace di succhiare sangue alle capre, e agli animali domestici, per poi infliggere, alle proprie vittime, particolari mutilazioni.
Gli Ufologi, più temerariamente, lo classificano come EBA (entità biologica anomala) e lo associano alla categoria dei “Grigi” (alieni appartenenti alla tipologia di vita extraterrestre intelligente che appare più di frequente nelle moderne teorie del complotto). “La creatura – dice Jeorge Martin massimo esperto nel campo degli extraterrestri – sarebbe stata avvistata in concomitanza con segnalazioni di Ufo”.
Per scienziati e criptozoologi semplicemente non esiste. E’ una leggenda metropolitana.
Eppure nel 2007 furono in molti a giurare di averlo visto.
Il primo impatto con un Chupacabra, sarebbe avvenuto in Texas tre estati fa.
A trovarlo, ormai cadavere, sarebbe stata la proprietaria di un ranch a Cuero. Lei si chiama Phylis Canion e con lo strano ritrovamento si guadagnò qualche mese di notorietà. La creatura venne fotografata e le immagini fecero presto il giro del mondo. Ma la pratica signora fece di più. Dopo aver scattato una serie di foto per You Tube tagliò la testa del “mostro” e se la tenne nel frigo in attesa che qualcuno si decidesse a farla analizzare. Si era mangiato 26 galline e a detta della Canion aveva “aspirato” il loro sangue.
Qualche tempo dopo altri tre “cuccioli” di Chupacabra vennero ritrovati morti sul ciglio dell’autostrada a 140 chilometri da San Antonio.
In quell’area, durante l’estate, era stato boom di avvistamenti Ufo. Delle analisi sul “succhiacapre” non si è mai saputo più nulla.
2008. Arriva il mostro di Montauk
Dal Texas a Long Island ci vuole il tempo di un’estate per ricominciare a parlare di creature arrivate da altri mondi.
Questa volta a sbattere il mostro in prima pagina ci pensa The Independent, che senza tanti problemi spara a tre colonne la notizia che Jenna Hewitt, una simpatica ventiseienne locale, in compagnia di tre amici, il 12 luglio 2008 ha trovato e fotografato una strana creatura presso la spiaggia chiamata Ditch Plains, a due miglia est dal distretto Montauk, a Long Island (New York).
In poche ore decine di migliaia di internauti digitano compulsivamente su Google le paroline “Montauk monster” per saperne di più sul fenomeno del momento.
La creatura si becca anche un nomignolo, “Monty”, è diventa una specie di star della Rete. Sono 441.000 le pagine che vengono fuori dopo una ricerca elementare sul motore di ricerca più famoso del mondo.
Le ipotesi si sprecano. Si ritorna a parlare di Chupacabra, ma c’è anche chi avverte che potrebbe trattarsi di un maiale o di un pit-bull scuoiato.
L’ipotesi più accreditata viene fuori qualche giorno dopo, quando qualcuno si ricorda che a Montauk sarebbero in corso da tempo esperimenti governativi segreti con lo scopo di sviluppare procedure di guerra psicologica. “Al centro di ricerca di Plum Island – dice piccato il dottor Larry Barrett, direttore della struttura governativa – non facciamo esperimenti sugli animali”. Quella “creatura” è un semplice procione mal decomposto e con una serie di peculiarità anomale.
Inutile dire che nessuno ci crede. Bisognerà aspettare qualche mese per scoprire che, forse, le foto circolate su Internet son un “fake” realizzato con Photoshop.
Sarà, ma di Monty si tornerà a parlare molto presto.
2009. La vendetta di Nessie e il ritorno di Monty
Si deve essere ingelosito, il vecchio caro serpentone che si agita insolente nello specchio d’acqua dolce delle Highlands scozzesi. A Loch Ness avevano un primato. Sulla loro “creaturina” avevano costruito un vero e proprio business. Ed ora, con tutti questi strani esseri a zonzo per il globo, il rischio è quello di perdere fascino. Ma Nessie è sempre stato bravo a rimanere sotto i riflettori. Qualche apparizione ogni tanto e via, si ritorna in prima pagina.
Questa volta lo hanno beccato con Google Heart. E lui, sornione, si è fatto anche fotografare. Latitudine 57°12’52.13″N, longitudine 4°34’14.16″ W. Con queste coordinate Jason Cooke, un 25enne addetto alla sicurezza di Nottingham, ha fatto bingo ed è finito sulle prime del Sun e del Telegraph, che ovviamente si sono lanciate a bomba sulla notizia. Era agosto.
Qualche settimana prima il Web era impazzito per un altro essere impossibile. Una specie di “blob” appiccicoso e viscido apparso nelle fogne di Raleigh in North Carolina.
Lo aveva filmato un operaio della Malphrus Construction che stava facendo dei rilievi nelle viscere di un centro commerciale. E anche in questo caso il filmato era volato su You Tube con la velocità della luce.
Nessie, con l’apparizione di agosto, si è ripreso la scena mondiale. Ma poi…
Poi è arrivato il “mostro del Centroamerica”. E per il serpentone scozzese si sono spente le luci della ribalta.
Lo hanno chiamato Golum, per la somiglianza con il simpatico personaggio del Signore degli Anelli, ed è riemerso dal lago di Cerro Azul, a pochi chilometri da Panama. Solita trafila, paura, sconcerto, foto e, immancabilmente, You Tube. Tutto nella norma se non fosse per un particolare. La “creatura” era viva. E cinque ragazzetti, impauriti, l’hanno uccisa a sassate.
Fine di un mito. Alle porte del 2010 solo cinismo e violenza.
Nella speranza che Nessie e i Chupacabra si tengano lontani dalla “civiltà”.
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Gamecon, ecco gli Eroi del Cosplay 2009
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Gamecon, tutti pazzi per i Cosplay Successo per la gara a Castel Sant'Elmo
In 500 hanno assistito domenica a Castel Sant’ Elmo alla Video Game Cosplay, gara in costume per appassionati di personaggi di fumetti e videogames. Fantasia, creatività, divertimento e gioco. Per vestire, per un giorno, gli abiti dell’eroe preferito.
di ADRIANA D’AGOSTINO
Mara Nappo ha 16 anni e, nella vita di tutti i giorni, frequenta il liceo scientifico di Scafati. Per lei, però, quella di ieri non è stata una giornata come tutte le altre. Ieri Mara ha vinto, anzi, ha stravinto. Per usare un termine tecnico è stata eletta Grand Champion della gara Game Cosplay tenutasi domenica pomeriggio a Castel Sant’Elmo nell’ambito del Gamecon 2009, la fiera del gioco e del videogioco.
Mara, nonostante la sua giovane età, è una cos player già da qualche anno. I cos player sono una grande comunità. Ragazzi giovanissimi e non solo, con la passione per fumetti e videogiochi. Passione rivolta, in particolare, ai personaggi protagonisti delle saghe che vengono da molti di loro presi a modello nel modo di fare e nello stile. Un divertimento che, a volte, si trasforma in un vero e proprio studio dettagliato su costumi, gesti, ed espressioni e che raggiunge il suo culmine nella voglia di impersonare l’ eroe prescelto, vestirne, per un intero giorno i panni. In tutti i sensi.
I cos player comprano, ma soprattutto fabbricano da soli, costumi il più possibile fedeli nella ricostruzione a quelli visti nei videogiochi o nei fumetti. Un lavoro che può prolungarsi anche per 3 o 6 mesi, a seconda della complessità dell’abito e dalla voglia di arricchirlo con creatività. Tutto nell’attesa del giorno in cui potranno indossarlo. Questa opportunità si verifica durante fiere come il Gamecon, durante le quali si organizzano delle sfilate-gioco in cui i partecipanti si contendono la vittoria esibendosi travestiti davanti a giurie qualificate. Il regolamento, infatti, consente al concorrente di presentarsi con musiche di accompagnamento, coreografie, momenti recitati o vere e proprie parodie sul personaggio rappresentato.
“E’ un modo per mettersi in gioco facendo contemporaneamente una delle cose che più ami”, commenta Serena Carotenuto, 21 anni, cos player da sei e presente ieri come componente della giuria e referente del contest, a sua volta patrocinato dalla testata giornalistica online Wings of magic.it ed il team Animeboarders.
“In Italia il numero dei cos player in contatto oscilla tra le 700 e le 800 persone. Tutte con la stessa passione – continua Serena – la maggior parte di loro ha tra i 16 ed 25 anni, ma ci sono anche molti adulti. Un anno un anziano signore ha partecipato alla gara vestito da Gandalf del Signore degli anelli. La lunga barba bianca era la sua originale”.
Domenica la gara cos play di Gamecon 2009 è stata seguita con entusiasmo dagli oltre 500 presenti che hanno riempito l’Auditorium di Castel Sant’ Elmo. Oltre agli accaniti frequentatori di queste manifestazioni, molti amici, compagni di classe ed anche qualche genitore dei ben 54 partecipanti.
La giuria, presieduta da Noah Falstein, gamedesigner americano collaboratore di George Lucas, ha così premiato Mara Nappo con due premi: miglior performance live e titolo di campione assoluto. Il suo costume da Sora Antiform, famoso personaggio del videogioco Kindom Hearts II, ha convinto tutti: “Sono contentissima – ha detto Mara appena scesa dal palco – devo ringraziare tutti i miei amici. Non è la prima volta che mi vesto da Sora, ho seguito l’evoluzione di tutti i suoi vestiti”.
Gabriella Orefice, invece, ha avuto l’onore di vincere come Miglior Personaggio LucasArts e ricevere, così, il premio direttamente da Falstein, autore del videogiocoThe Secret of Monkey Island dal quale la ragazza aveva preso spunto per il suo personaggio.
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Mentre a Valencia comincia la "partita del secolo" la storia di un binomio maledetto: Scacchi&Delitti
25 anni dopo la leggendaria partita per l’assegnazione del titolo mondiale, tornano uno di fronte all’altro due miti degli scacchi, Garry Kasparov e Anatoli Karpov. Si scontreranno da oggi a Valencia, in Spagna, solo per ricordare quello che accadde nel settembre del 1984, quando passarono alla storia per una partita che non ebbe mai un vincitore.
Difficile rimanere indifferenti a questa notizia. I gialli e gli scacchi vanno a braccetto da sempre. Da Va Dine a Perez Revert il mistery ha sempre attinto a quel magico gioco che si consuma sulle 64 case di una scacchiera. Ma gli alfieri e le regine, i pedoni e i Re hanno anche “ispirato” la mente malata di molti assassini. Vi raccontiamo due storie incredibili del binomio maledetto Gialli & Delitti.
di FRANCESCO MASCOLO
Aleksandr Pichushkin,il serial killer degli scacchi
Ubriacava le sue vittime, poi gli fracassava il cranio e lo riempiva con i cocci delle bottiglie di vodka. Ogni delitto un tappo che finiva su una scacchiera conservata su un tavolino del salotto. L’obiettivo era quello di completare tutte e 64 le case bianche e nere.
Lo fermarono quando sulla scacchiera maledetta di tappi ce n’erano solo 62.
Si chiamava Aleksandr Pichushkin, e aveva 33 anni il giorno in cui la polizia di Mosca riuscì ad arrestarlo.
Durante il processo venne accusato “solo” di 49 delitti. Ma lui confesso di aver ucciso 62 volte. “Ho da tempo superato Andrej Chikatilo, lo squartatore di Rostov, signor giudice – disse davanti ad una corte inorridita – e nessuno mi potrà togliere questo primato”.
La storia di Pichushkin comincia nel 1992, quando a scuola, col suo migliore amico, decide di compiere il suo primo delitto. I due organizzano un piano dettagliato e scelgono con cura la vittima. All’ultimo momento l’amico si tira dietro e da possibile carnefice diventa la prima vittima di Pichushkin.
Per un po’ Aleksandr sembra pentito. Tornerà ad uccidere dieci anni dopo e questa volta con un progetto preciso: superare lo squartatore di Rostov (52 vittime accertate).
Il terreno di caccia di Pichushkin è il parco di Biza a Bittsevsky, alle porte di Mosca.
Qui, il trentaduenne che nella vita lavora in un supermercato, comincia ad adescare persone invitandole a bere Zolotoj Veles, una pregiata vodka il cui nome deriva da una divinità pagana dei boschi. Aleksandr è convinto di essere la reincarnazione di un sacerdote legato a questa divinità. Beve con gli ignari e improvvisati amici poi li colpisce con la bottiglia e li uccide. I corpi finiscono nelle fogne del parco.
L’orrore va avanti per alcuni anni. Poi nel 2006 un episodio segna l’epilogo della carriera criminale di Pichushkin.
Siamo a febbraio. La polizia arresta un transessuale e lo accusa di essere il maniaco del parco. Aleksandr Pichushkin impazzisce di rabbia. “Ero io e solo io – dirà al processo – l’unico autore di quegli omicidi e non potevo accettare che il merito andasse ad un travestito”.
Allora organizza l’ennesimo piano criminoso con l’intento, però, di farsi prendere.
In pratica invita a casa una collega, ma fa in modo che tutti sappiano dell’invito. Quindi la uccide.
Per la polizia ci vuole poco ad arrivare nel suo appartamento. Ed è lì che ritrova la scacchiera. Su ogni casa c’è un tappo di vodka. Solo due case sono vuote. Una bianca e una nera.
“Se vinco a scacchi uccido ancora”.
Era sabato, quando la trovarono. Sabato 10 febbraio 1996. Uccisa con 15 coltellata in un residence vicino alla stazione ferroviaria di Ancona. All’inizio pensarono si trattasse del solito omicidio a luci rosse. Una prostituta, che reclutava clienti con annunci sui giornali, uccisa da un cliente. Poi arrivò la lettera e il “normale” assassinio di Ancona si trasformò in un giallo. Ancora irrisolto.
Ma non un giallo da quattro soldi. Un signor giallo con protagonista gli scacchi.
Nella lettera che venne spedita ai militari della stazione locale, infatti, un misterioso personaggio avvertiva che avrebbe ucciso ancora se i carabinieri si fossero rifiutati di giocare una delirante partita a scacchi con la morte.
La lettera, due fogli, scritti con un normografo, sgrammaticata, reca in calce un’apertura scacchistica. Pedone bianco da B2 a B3. L’apertura Larsen.
Inizialmente gli inquirenti non danno peso alla cosa. Un mitomane, dicono. Poi l’ombra del serial killer si fa avanti prepotente e inquietante.
Del caso si incarica l’Unità per l’analisi dei crimini violenti, coordinata dalla Polizia Scientifica di Roma. Gli esperti, analizzano la scena del crimine, la comparano con altri casi presenti nel loro database, e arrivano alla conclusione che la Bevacqua potrebbe essere rimasta vittima di un omicida seriale.
Due i casi simili a quello della Bevacqua. Il primo è quello di Monica Abate, una prostituta tossicodipendente uccisa nella sua abitazione a Modena, il secondo è quello di Maria Luigia Borrelli, un’altra prostituta, sempre uccisa nella sua abitazione, a coltellate e sfigurata dalla punta di un trapano elettrico.
Che si fa? Da Parigi Jerome Camiret, direttore di una delle più stimate agenzie investigative, consiglia di “continuare la partita a scacchi”. Per il detective francese questo è l’ unico modo per dare “matto” all’uomo che ha proposto la sfida mortale.
Nessuno darà seguito all’apertura Larsen del presunto serial killer. Avrebbero potuto rispondere seguendo lo sviluppo del fianchetto di donna. Una mossa non notissima. Pedone nero davanti al re o alla regina, spostato di due caselle. Non l’hanno fatto.
Il caso è rimasto irrisolto. Per Paolo Maurensig, autore della Variante di Lunenburg, il serial killer era una donna.
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Il mistero del mostro di Panama.
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La Guerra dei Mondi, ecco alcuni brani del romanzo di H. G. Wells
La Guerra dei Mondi di H. G. Wells è considerato uno dei primi romanzi di fantascienza. Apparve a puntate sul Pearson’s Magazine nel 1897. Un anno dopo fu pubblicato in un’unica edizione dalla casa editrice Heinemann.
Vi proponiamo alcuni brani del celebre romanzo. Quelli in cui la “cosa” arriva ad Horsell. Buona lettura.
L’Incipit
Alla fine del XIX secolo nessuno avrebbe creduto che le cose .della terra fossero acutamente e attentamente osservate da intelligenze superiori a quelle degli uomini e tuttavia, come queste, mortali; che l’umanità intenta alle proprie faccende venisse scrutata e studiata, quasi forse con la stessa minuzia con cui un uomo potrebbe scrutare al microscopio le creature effimere che brulicano e si moltiplicano in una goccia d‘acqua. Gli uomini, infinitamente soddisfatti di se stessi, percorrevano il globo in lungo e in largo dietro alle loro piccole faccende, tranquilli nella loro sicurezza d’esser padroni della materia. Non è escluso che i microbi sotto il microscopio facciano lo stesso. Nessuno pensava minimamente che i piú antichi mondi dello spazio potessero rappresentare un pericolo per gli uomini, o pensava ad essi soltanto per escludere la possibilità o anche solo la probabilità che esistesse sulla loro superficie una qualunque forma di vita. E curioso ricordare alcune idee di quei giorni lontani. Gli abitanti del nostro pianeta si figuravano al massimo che su Marte potessero esserci altri uomini, forse inferiori a loro e pronti ad accogliere a braccia aperte una missione di civilizzazione. Tuttavia, di là dagli abissi dello spazio, menti che stanno alle nostre come le nostre stanno a quelle degli animali bruti, intelletti vasti, freddi e spietati guardavano la terra con invidia e preparavano, lentamente ma con fermezza, i loro piani contro di noi. E agli inizi del XX secolo si ebbe il grande disinganno.
La Scoperta
Di buon mattino, il povero Ogilvy, il quale aveva visto la stella cadente, ed era persuaso che un meteorite giaceva da qualche parte nella zona tra Horsell, Ottershaw e Woking, si alzò di furia con l’idea di trovarlo: e lo trovò, subito dopo l‘alba, non lontano dalle cave di sabbia. Il proiettile, nell’urto, aveva scavato un’enorme buca, la sabbia e la ghiaia erano state violentemente lanciate in ogni direzione sulla brughiera e sull’erica, formando cumuli visibili a due chilometri di distanza. L’erica, verso est, stava bruciando, e un sottile fumo azzurro saliva nitido contro il chiarore dell’alba.
La cosa giaceva quasi completamente affondata nella sabbia tra le schegge sparse di un abete che aveva frantumato cadendo. La parte scoperta aveva l’aspetto di un enorme cilindro di massa compatta, i suoi contorni erano addolciti da un’incrostazione spessa, scagliosa, di colore scuro. Aveva un diametro di circa venticinque metri. Egli si avvicinò a quella massa, stupito delle sue dimensioni e piú ancora della sua forma, perché la maggior parte dei meteoriti sono quasi completamente rotondi. Ad ogni modo era ancora cosí calda per il suo volo attraverso l’atmosfera da non consentirgli di avvicinarsi di più. Attribuiva il rumore insistente che si udiva dentro al cilindro al raffreddamento ineguale della sua superficie, perché ancora non gli era venuto in mente che potesse esser cavo.
Rimase li in piedi sull’orlo della buca che l’oggetto si era scavato, fissando il suo strano aspetto, stupito soprattutto dalla forma e dal colore inconsueti, e anche allora intuì solo confusamente che poteva non trattarsi di una caduta casuale. Il mattino era meravigliosamente calmo, e il sole, che si alzava sui pini verso Weybridge, era già caldo. Egli non ricordò di aver udito il canto degli uccelli: quel mattino, certo, non c‘era alito di vento, e gli unici rumori erano i lievi cigolii che venivano dall’interno del cilindro cinerino. Egli era assolutamente solo nella landa.
Poi, d’un tratto, si accorse con un brivido che una parte di quella specie di vernice grigia, di quell’incrostazione cinerina che ricopriva il meteorite, si stava staccando dall’orlo circolare dell’estremità che affiorava. Si staccava via in scaglie che cadevano sulla sabbia. D’improvviso se ne staccò un grosso pezzo, che cadde con un rumore violento e gli fece saltare il cuore in gola.
Per un momento non riuscí a capire che cosa questo significasse, e, sebbene il calore fosse eccessivo, si calò nella buca vicino alla massa per vedere più chiaramente il fenomeno. Pensò anche allora che il raffreddamento del bolide potesse spiegare quel fatto, ma ciò che non rendeva plausibile quell’idea era che l’incrostazione si stava staccando solo sull’estremità del cilindro.
Allora si accorse che, molto lentamente, la sommità circolare del cilindro stava ruotando: era un movimento cosí graduale che egli lo scopri solo notando che una macchia nera, che cinque minuti prima stava accanto a lui, si trovava adesso dall’altra parte della circonferenza. Anche allora non capi che cosa questo significasse, finché non udì un cigolio soffocato e non vide la macchia nera balzare in avanti di qualche centimetro. Allora ebbe un lampo: il cilindro era artificiale — cavo — con una delle due estremità svitabile! Qualcosa dentro il cilindro ne stava svitando la sommità!
— Santo Dio! — esclamò Ogilvy. — Lì dentro c’è un uomo, ci sono degli uomini! Saranno quasi bruciati! Tentano di fuggire!
Tutti ad Horsell
Nel pomeriggio, l’aspetto della landa era profondamente mutato. Le prime edizioni dei giornali pomeridiani erano uscite a Londra con titoli a caratteri cubitali:
UN MESSAGGIO DA MARTE
WOKING CI COMUNICA UNA STORIA INCREDIBILE
e cosí via. Inoltre, il telegramma diretto da Ogilvy all’Ufficio Investigazioni Astronomiche aveva messo in subbuglio tutti gli osservatori del regno.
Sulla strada che passava accanto alle cave di sabbia c’era una mezza dozzina e piú di carrozze che erano venute dalla stazione di Woking, un carrozzino proveniente da Chobham, e una vittoria piuttosto elegante. Li vicino, c’era un considerevole mucchio di biciclette.
Una vera massa di persone, inoltre, doveva essere venuta a piedi da Woking e da Chertsey, nonostante la giornata afosa; cosí si era radunata una folla notevole: tra gli altri, qualche signora vestita a colori vivaci.
Il caldo era soffocante, non c’era una nuvola né un alito di vento, e non c’era altra ombra che quella proiettata dai pochi pini sparsi qua e là. Le fiamme tra le eriche erano state spente, ma tutta la pianura verso Ottershaw era riarsa fino all’orizzonte, e vi si levavano ancora sottili strisce di fumo. Un intraprendente pasticciere di Chobham aveva mandato suo figlio con un carretto di frutta e di birra.
La “cosa”
Una massa grigiastra e arrotondata, grande press’a poco come un orso, stava uscendo lentamente e faticosamente dal cilindro. Come s’incurvò per emergerne e il sole la colpi in pieno, scintillò come cuoio bagnato. Due larghi occhi scuri mi stavano guardando fisso. Era rotonda e, se cosí si può dire, aveva un viso. Sotto gli occhi c‘era una bocca, i cui orli privi di labbra tremavano, si agitavano e colavano saliva. Il corpo ansimava e pulsava convulsamente. Una scarna appendice tentacolare si aggrappò all‘orlo del cilindro, un’altra ondeggiò in aria.
Coloro che non hanno mai visto un marziano vivo, possono difficilmente immaginare il bizzarro orrore del suo aspetto. La caratteristica bocca a V rovesciata, l’assenza dell’osso frontale e del mento sotto la linea dritta del labbro inferiore, il tremito incessante della bocca, i gruppi di tentacoli da Gorgone, l’ansimare affannato dei polmoni in un’atmosfera inconsueta, per via della forza di gravità piú pesante sulla terra — soprattutto, la straordinaria intensità di quegli occhi immensi — producevano un effetto molto simile alla nausea. In quella viscida pelle scura c‘era un che di fungoso, e nella goffa cautela dei suoi lenti movimenti, qualcosa di indicibilmente terribile. Fin da quel primo incontro, da quella prima occhiata, fui sopraffatto dal disgusto e dalla paura.