E’ la bibbia degli appassionati di gialli. Un libro da tenere sulla scrivania. Da consultare, sfogliare. Un libro per cercare tutto quello che da altre parti non c’è. Insomma: un archivio di cronaca nera da avere. A tutti i costi. Da Un delitto al Giornodi Riva&Viganò, (Baldini&Castoldi) abbiamo scelto per voi le pagine 290/291. Quelle dedicate al 29 maggio. Il giorno in cui Caravaggio uccise Ranuccio Tommasoni.
Data: 29 maggio 1606
Ora: tra le 19 e le 22
Luogo: Campo Marzio, Roma (Stato Pontificio)
Vittima: Ranuccio Tommasoni da Terni, nobiluomo
Causa del decesso: una ferita di arma da taglio
Arma: spada
Testimoni oculari: Antonio Bolognese, capitano, ferito durante la rissa; Onorio Longhi, pittore, e altre quattro persone non identificate
Sospetti: Michelangelo Merisi da Caravaggio, di anni 33, pittore, Accademico di S.Luca, pregiudicato per aggressione, diffamazione e oltraggio agli sbirri
Movente: un fallo contestato al gioco della pallacorda
Colpevole: Michelangelo Merisi da Caravaggio. Fuggito da Roma, viene colpito con bando di condanna capitale in contumacia. Nel luglio 1610 viene fermato sulla spiaggia di Porto Ercole, durante il viaggio di ritorno a Roma. Liberato dopo due giorni, si dice che sia morto di malattia e di stenti sulla stessa spiaggia di Porto Ercole. Nel frattempo la Curia Romana ha rivisto il suo caso e, optando per l’omicidio casuale, gli ha concesso la grazia.
Caso: chiuso
Tutti quanti lo conoscevano. Girava per Roma vestito di un tabarro nero, con un cappellaccio anch’esso nero, e con dietro un cane, nero, che rispondeva al nome di Cornacchia. Aveva pochi amici, e fidati; uno di questi era Onorio, che anche quella sera era al suo fianco; ma molti, moltissimi nemici. E, del resto, tutti sapevano di quel suo caratteraccio. E come potevano non saperlo? L’altr’anno si diceva avesse assoldato un sicario – o forse, ed è cosa ben più probabile, lo fece da sé – per sfregiare il Pomarancio, che grazie agli appoggi di cui godeva in curia ottenne di affrescare il santuario di Loreto in vece sua, che di certo l’avrebbe maggiormente meritato. E un anno fa, poco mancava che non ammazzasse il notaio d’Accumulo, che passava con troppa insistenza sotto le finestre della sua Lena. E prima, anche quel tal Gerolamo Stampa poté verificare di persona il suo caratteraccio, e, come dichiarò in seguito ai birri, «allora lo conobbi mentre prima non aveva potuto conoscerlo». E poi quel garzone di taverna, quel tal Fusaccia che serviva all’osteria del Moro: anch’egli ebbe modo di saggiarne l’indole! Quando ebbe la sventura di portare a quel tristo figuro otto carciofi cotti, «cioè quattro nel burro e quattro nell’olio», e colui gli domandò quali fossero al burro e quali all’olio, e lui di rimando: che li odorasse, che facilmente haverebbe conosciuto quali erano gli uni e quali gli altri, «lui allora è montato in collera e senza dirmi altro ha preso un piatto di terra e me l’ha tirato alla volta del mostaccio, che me ha colto in questa guancia manca dove sono restato un poco ferito». E tutto, per un piatto di carciofi! E quanto ai birri – oh, se lo conoscevano, anche loro! Lo conosceva quel capitano che, nel novembre di due anni or sono, lo trovò alla chiavica del Bufalo alle cinque della notte che portava spada e pugnale, «et domandatoli se haveva licentia disse de sì et la mostrò, et così li fu resa, et dissi che lo lasciassero andare, et così io detti arresto at non volsi comportare questa cosa, et così lo feci pigliare et dappoi che fu ligato disse: Ho in culo te et quanto par tuoi si trovano, et così lo mandai in priggione a Tor di Nona». Tutti, tutti lo conoscevano, per le strade di Roma!
Eppure quel Ranuccio, quel Ranuccio da Terni sembrava davvero non sapere chi avesse di fronte, quella sera. Non sapeva forse che di lui si diceva che a Milano, poco più che bambino, avesse ucciso per una bravata un suo compagno di giochi, e che per questo fu rigettato dalla famiglia, se ne venne a Roma a tentare la fortuna come pittore? Non sapeva delle querele continue, e delle risse, e della gente che cambiava via come lo vedeva passare in istrada? E allora, perché prendersela tanto! Perché tirar tanto la corda, per un semplice fallo! Perché scaldarsi per soli 10 scudi vinti al gioco, quando la sua famiglia poteva comperarsi per intiero il campo della pallacorda, e anche il Palazzo dell’ambasciatore di Toscana, che lo delimitava? Si dice l’onore, e sia: ma con quel figuro, con quel figuro sempre intabarrato in nero, che col suo caratteraccio metteva in soggezione persino duchi e cardinali, perché non tirar via? Fatto sta che, come recitarono gli Avvisi il giorno successivo, «la suddetta sera di domenica successe davvero una questione assai notabile, di 4 per banda, capo di una, tal Ranuccio da Terni, che vi restò morto subito dopo lungo contrasto, et dell’altra Michelagnolo da Caravaggio, pittore di qualche fama ai nostri giorni, che vogliono sia rimasto derito, ma però non si trova dove sia». «Caduto a terra Ranuccio», racconterà più tardi il Baglione, «Michelagnolo gli tirò una punta, e nel pesce della coscia feritolo, il diede a morte».
L'omicidio di Ranuccio Tommasoni
30 Giugno 2009
LE VERITA’ DI UNA CONDANNA PER OMICIDIO
Dedicandomi da anni alle ricerche documentarie sulla vita del Caravaggio, ho avuto modo di indagare quale può essere stata la verità dei fatti nel momento dell’uccisione di Ranuccio Tomassoni da parte del Caravaggio. Nell’intento di difenderlo da tante futili interpretazioni, ricavate da testi biografici spesso superati, essendo testimone parte della difesa in un processo seppur virtuale svoltosi a Bergamo, ho dato alla “corte” una copia del dispaccio inviato il 3 Giugno 1606 da Francesco Maria Vialardi (corrispondente da Roma) a Mons.Maffeo Barberini nunzio apostolico a Parigi e alla corte del Granduca di Toscana; un documento mai considerato nel processo intentato dal Tribunale del Governatore di Roma contro il Caravaggio per l’omicidio:
“…ho inteso dire che il detto Michaelangelo in sulle 16 hore se ne passò quel giorno da casa del medesimo Ranutio, con comitiva, et il detto Ranutio, vedutolo si armò di dosso , et lo andò affrontare cacciando mano da solo, a solo. Restando ferito il pittore, in suo aiuto uscì un tal Petronio Troppa gia Capitano di Castello, et dall’altra il Capitan Gio Francesco fratello di esso Ranutio. Finalmente il Ranutio inciampò dov’hebbe a cadere, nel qual tempo, colto di stoccata da Michelangelo, cascò in terra morto, sendo il Petronio restato malamente ferito dal Capitan Gio Francesco…”
Una relazione alla quale in altri tempi non si è voluto dare credito per il semplice fatto che il Caravaggio traeva protezioni dalla cosi detta fazione cardinalizia filo-francese facente capo al cardinal Del Monte, mentre la famiglia dei Tomassoni stringeva amicizie vicine al papa Paolo V eletto con i favori della fazione filo-spagnola. Lo scritto del Vialardi, con una attenta valutazione, avrebbe dunque potuto favorire i giudici del tribunale romano di quei tempi di arrivare ad una “non condanna”, in considerazione del fatto che il Caravaggio dopo essere stato aggredito, uccise il Tomassoni solo per difendersi.
Francesco Tresoldi e-mail: francescotresoldi@libero.it
Caro Francesco
poichè tu sei uno studioso di Caravaggio, e in questo sito GIALLI IT hai trattato anche la morte di Ranuccio Tomassoni, mi potresti dire, se ne sei a conoscenza in quale zona all’interno del Pantheon il Tomassoni è stato sepolto? Ti ringrazio Anricipatamente
Non mi è chiaro come è morto Ranuccio Tomassoni. Cosa vuol dire “ferito nel pesce della coscia? Forse è stato colpito ai genitali ed è morto dissanguato?
Secondo me Caravaggio, per quanto buon pittore e attualmente osannato in maniera eccessiva, era un uomo violento e vedo in lui la volontà di colpire, e quindi uccidere, un uomo che era già a terra inerme.